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A un giorno dalla consegna del miglior film per l'Academy, io sono andata a recuperarmi quello che per un certo signore chiamato Quentin Tarantino è stato il miglior film dell'anno 2013.
Un film israeliano, passato per il Tribeca Festival, e che con molta probabilità solo grazie alle dichiarazioni del regista americano è riuscito a circolare in rete tra fan accaniti e critici pronti a smentirlo.
Ed è un peccato, perchè un film così potente -sia per temi che per realizzazione- potrebbe tranquillamente vivere e essere conosciuto per i propri singoli meriti.
Ed è una fortuna, perchè così un film simile è riuscito ad arrivare ai più e ad essere scoperto.
Che un film simile potesse piacere al maestro del pulp, non c'erano dubbi.
Sangue, violenza, colpi di scena impregnano la pellicola, e la rendono una visione difficile da digerire e indimenticabile.
Ma chi sono quei grandi e cattivi lupi del titolo?
E' Dror, maestro accusato dalla polizia di essere il serial killer che rapisce, sevizia e uccide bambine innocenti?
O è la polizia stessa, che non disdegna metodi poco ortodossi per costringerlo a confessare, macchiando così la sua reputazione?
O, infine, è Gidi, padre di una delle vittime, che cattura Dror e assieme a lui l'ormai ex poliziotto Micki, legandoli nella propria cantina e procedendo per torture al fine di vendicare la figlia e ritrovarne i resti?
Difficile dirlo.
Anche perchè come ogni violenza fatta a quelle bambine ci viene raccontata, così ogni colpo, ogni dito rotto o schizzo di sangue della tortura non ci viene risparmiato, anzi, viene diluito e reso più potente nel tempo, con inserti da black humour che fanno respirare il film di una quasi impensabile ironia e di un ritmo che coinvolge e soddisfa.
Non c'è ombra di pesantezza nonostante temi come la pedofilia e la violenza siano trattati e mostrati, ma c'è uno stile tarantiniano, emblematico sulle note di Everyday di Buddy Holly, o in espedienti e ingredienti che affondano le mani nel pulp come nella commedia.
A rendere Big Bad Wolves il miglior film del 2013 per alcuni, è poi la sua realizzazione, a partire dalla scena iniziale, un rallenty carico di tensione grazie alla musica, e di poesia fatta ad immagini, che lascia poi il posto a carrellate e zoom che mostrano un uso eccellente della macchina da presa, che si sofferma, viaggia e compie i suoi movimenti facendo brillare gli occhi di chi la guarda.
Piano piano, semina poi il dubbio nello spettatore, semina l'angoscia per l'inutilità di quella tortura, per la pena e la paura che quell'unico lupo cattivo, caparbio e insensibile, fa provare.
La sceneggiatura a prova di bomba, che trova il tempo anche per riflettere e ironizzare sul rapporto israeliani/arabi, non lascia nulla al caso, portando a quel colpo di scena finale amaro ancor più per come tronca il film, per come ci lascia attoniti e agghiacciati.
Caro Mister Quentin, c'aveva ragione, grazie per la dritta.
Guarda il Trailer
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