Big Eyes

Creato il 10 gennaio 2015 da In Central Perk @InCentralPerk
Andiamo al Cinema
Il problema con i film di Tim Burton è che non posso essere presi a sé, li si deve sempre paragonare al suo passato.
Il regista si è fatto un nutrito fan club, creando di volta in volta aspettative, creandosi prima di tutto un nome che significa estro, che significa genio, che significa fantasia lasciata libera di galoppare.
Ecco perchè, mai come a lui, la china che ha preso la sua filmografia negli ultimi tempi è difficile da perdonare.
Iniziata con quella che per molti, se non per tutti, sembrava la collaborazione del secolo, quella che vedeva unito il suo genio a quello altrettanto gotico e folle di Carroll con Alice in Wonderland, e che si è rivelata una delusione, se non uno spreco, che continua a lasciare un segno cocente.
Dopodiché anche la ripresa di una vecchia serie, famosa sopratutto in America, ha lasciato il tempo che trovava, quel Dark Shadows che è parso più un innocuo divertissement che un film in cui la sua vena artistica fosse tornata a risplendere.
Poi è stato il ritorno al passato, e all'animazione, a far tornare a palpitare il cuore di fan e spettatori delusi. In Frankenweenie si ritrova la voglia di giocare, la voglia di sorprendere e di divertirsi dei vecchi tempi.
E arriviamo finalmente all'oggi, anzi, meglio fermarci a qualche mese fa, quando l'annuncio che il prossimo progetto di Burton sarebbe stato raccontare la vita dell'artista Margaret Keane aveva lasciato un po' perplessi, un po' (tanto) ansiosi di vedere cosa il regista dall'immaginazione più vivida potesse tirar fuori con l'artista degli occhi grandi.
Visto il trailer, la sensazione era qualcosa di grande, qualcosa di diverso, certo, ma in cui i suoi guizzi, la sua firma, si potessero sentire.

Arrivati all'oggi, tutto questo entusiasmo è già scemato.
Quell'attesa prolungata e soddisfatta nel primo giorno del nuovo anno, ha visto davanti a sé niente più e niente di meno che un biopic, di quelli classici.
Quei biopic che ci raccontano didascalicamente l'ascesa, le cadute e il risollevamento del protagonista, che parte con una Margaret insicura che lascia il primo marito, che con la figlia cerca di ricostruirsi un futuro a Los Angeles, in cui spera di far emergere la sua arte, di vivere con questa.
Basta davvero poco per incontrare un altro artista, dalle mille parole, come Walter Keane, dall'innamorarsi, dallo sposarlo senza troppo pensieri in quel paradiso delle Hawaii, da iniziare una vita in cui sarà proprio l'arte a vederli vincenti, un'arte fatta quasi in catena di montaggio, però, lasciata alla gloria di chi meglio ci sa fare con il pubblico, con gli acquirenti, con i giornalisti.
Ma quanto pensiate possa durare questo equilibrio instabile che coinvolge anche l'amore, un matrimonio, oltre che gli affari e la passione per l'arte?
Big Eyes è niente più che un biopic classico anche perchè si avvale di due interpreti eccezionali, quella Amy Adams che -come se fosse ancora necessario- conferma nuovamente tutta la sua bravura, e quel Christoph Waltz ormai abbonato ai ruoli da stronzo, che con quella faccia da sberle e quel piglio un po' gigione, un po' tanto egoista, si cala alla perfezione nei panni del falsario Walter Keane.
Non manca poi una colonna sonora a doc, del fido Danny Elfman, che sottolinea a dovere ogni emozione, ogni cambiamento, tanto da non essere nemmeno così sentita, se non nel finale, affidato però alla voce di Lana del Rey che (dopo Mommy, dopo Il Grande Gatsby, dopo Maleficent) ad Hollywood sta così bene.

Che male c'è allora in un biopic classico, che rispetta regole, che rispetta la storia che racconta?
C'è che questo film biografico è firmato Tim Burton, e uno con un nome così, non lo avremmo mai pensato capace di tanta piattezza.
Già, piattezza, perchè nella storia di un'artista come la (o i) Keane manca l'emozione, mancano quegli sprazzi di genio che solo in rarissimi momenti (quello del supermercato) emergono per far parlare qualcos'altro che non siano le tante parole della sceneggiatura.
Da uno come Burton ci si aspettava qualcosa di diverso, è la sua condanna e la sua fortuna, perchè un regista che c'ha abituato a lasciarci a bocca aperta e con gli occhi sognanti, non può lasciare assopito il suo pubblico, o questo rimane deluso.
Big Eyes è una delusione. Quindi.
E' una visione stanca e didascalica, in cui nemmeno la voce narrante trova il suo spazio, in cui si finisce per amare, certo, le opere della Keane, il suo tocco, i sui grandi occhi.
Quelle di Burton, invece, molto, molto meno.

Guarda il Trailer

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