Magazine Cinema
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 102'
La trama (con parole mie): Hiro, un giovane genio di robotica che si dedica ai combattimenti clandestini di automi costruiti in casa, viene convinto dal fratello maggiore ad elaborare un progetto che possa permettergli di studiare nella sua università, coordinata dal pioniere del campo Robert Callaghan.
Ideati dei microscopici robot in grado di interagire direttamente con il cervello del loro controllore ed ammesso alle classi, Hiro resta sconvolto quando proprio il fratello, Tadashi, muore in un incendio per salvare il professor Callaghan stesso: ritrovate le motivazioni dopo un periodo di lutto grazie a Baymax, ultima invenzione di Tadashi, Hiro scoprirà che dietro la morte del fratello c'è ben più di una casualità.E inizierà un'avventura che potrebbe cambiare il suo destino.
Sono sempre stato un grande appassionato degli underdogs.
Dai Goonies a Rocky, passando per la mia prima, grande passione da fumettaro, l'Uomo Ragno, più che i supereroi o i personaggi praticamente infallibili ed invincibili - i vari Superman, Thor e soci -, le mie preferenze sono sempre andate a quei charachters pronti a sudarsi anche la più piccola conferma - e non ho scritto vittoria, badate bene -, "buoni" o "cattivi" che fossero.
La questione legata, inoltre, ai dolori della crescita ed al percorso che ognuno di noi deve compiere per diventare adulto, o quantomeno per giungere al momento in cui si ha una maggiore consapevolezza della propria persona, ha rappresentato uno dei temi ricorrenti più importanti che mi è capitato di ricercare nelle letture, nella Musica o nel Cinema, tanto quanto mi capita, oggi, con la questione legata ai rapporti tra padri e figli.
Negli ultimi anni - ormai una ventina, a dirla tutta - il mondo dell'animazione, oltre che del Fumetto e dell'intrattenimento per ragazzi tutto, ha subito una vera e propria evoluzione che ha portato dai classici Classici stile Disney - che comunque ancora oggi apprezzo nella loro quasi totalità - alla poesia del Sensei Miyazaki e dell'animazione nipponica, al gusto adulto di prodotti come Persepolis o Valzer con Bashir, a quello magico di Kirikù ed al trionfo della Pixar, nata proprio da una costola di Mamma Disney e divenuta, con il tempo, una sua colonna portante.
Ma perchè tutto questo pippone d'introduzione, vi chiederete!?
Perchè Big Hero 6, ultimo lungometraggio d'animazione firmato, di fatto, a quattro mani dalla stessa Disney e dalla Marvel e tratto da un albo a fumetti uscito sotto l'egida di quest'ultima, è probabilmente il cartone animato che, se avessi visto ai tempi della prima adolescenza, avrebbe segnato in maniera indelebile la mia crescita: così come è stato, infatti, lo scorso anno con l'ottimo Frozen e quello precedente con Ralph Spaccatutto, la grande D centra ancora una volta il bersaglio con un prodotto forse piuttosto semplice e molto veloce - anche nei passaggi chiave della sceneggiatura -, che non inventa nulla di nuovo ma che, di fatto, rappresenta una delle visioni più interessanti che il genere abbia proposto negli ultimi mesi, personaggi colorati ed accattivanti, bellissime animazioni, un rapporto tra i due protagonisti che spinge - ma senza esagerare - sul pedale dell'amicizia pronta a rimbalzare tra il divertimento, la voglia di crescere insieme e la commozione, senza dimenticare in tutto questo pensieri decisamente più adulti come il dilemma dell'affrontare il dolore di una perdita senza, di fatto, perdere se stessi.
Il personaggio di Hiro, piccolo genietto di robotica che vive con il fratello e la zia nel cuore di una futuribile metropoli che mixa abilmente San Francisco e Tokyo, e soprattutto quello del paffuto Baymax - ottima l'idea di sfruttare, come viene ammesso all'interno della stessa pellicola, un aspetto morbido del robot in modo che venga suggerito il suo essere sempre d'aiuto - riescono nella non facile impresa di convincere sia il pubblico più giovane - cosa facile, del resto, con i costumi sgargianti e le sequenze d'azione - così come quello adulto - le prime uscite dell'apparentemente male assortita coppia, liberazioni d'aria comprese, sono un vero spasso -, aggiungendo al cocktail che portano in sala anche un cattivo quantomeno mosso da motivazioni interessanti ed umane - nonchè dal look fantastico, almeno nella versione in costume - ed il classico finale disneyano che farà storcere il naso a molti ma che, secondo me, continua a funzionare nel momento in cui viene distribuito un prodotto a largo consumo come questo, specie se proposto con una certa onestà e senza particolari colpi bassi.
Non siamo certo di fronte al film d'animazione del secolo, eppure Big Hero 6 conferma l'ottima tendenza Disney delle ultime stagioni di cercare di guardare al futuro con una rinnovata energia, è un piacere per gli occhi e, in una certa misura, anche per il cuore - sfido qualunque piccolo spettatore ad uscire dalla sala senza il desiderio di possedere un suo Baymax, e potrei scommettere anche su molti di quelli grandi, sottoscritto compreso - e riesce a far dimenticare i grigi della realtà grazie ai colori pastello di una fantasia che, al contrario, della realtà stessa non si dimentica.
Dunque gettate il cuore oltre l'ostacolo, fidatevi degli underdogs ed indossate il costume più sgargiante possibile - personalmente, opto per quello da mostro con tre occhi, splendido -: il volo che vi aspetta sarà una vera goduria.
MrFord
"There goes my hero
watch him as he goes
there goes my hero
he's ordinary."Foo Fighters - "My hero" -
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