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Adesso però l'entrata in scena di un film d'animazione come "Big Hero 6" cambia completamente le carte in tavola, suscitando quella strana sensazione dovuta a un invasione da tempo sospettata e attesa, ma sempre rimandata e schivata. Perché in questa occasione, per la prima volta, la Disney utilizza il suo potere da padrona saccheggiando non ufficialmente, ma spudoratamente, uno dei fumetti Marvel meno conosciuti in assoluto (inedito in Italia), realizzando un'opera dal respiro assolutamente distante da quello che era il suo solito e vicinissimo a quello della sua subordinata.
La storia del piccolo genietto scienziato Hero, allora, somiglia moltissimo a quella di un Peter Parker dal cervello Tony-Starkiano, indirizzata e montata per sfociare nell'immaginario più avengersiano possibile e conquistabile. Un miscuglio tanto contorto quanto semplice, nei suoi sviluppi come nelle sue risoluzioni, chiaramente rubate dallo storico messo a disposizione dalle pellicole sia sopra citate che non. Eppure il fatto che la Disney smetta per un attimo di fare la Disney, imitando uno dei suoi rami più robusti e migliori, non sarebbe neppure troppo sbagliato se solo ciò fosse eseguito con particolare attenzione e giusta perizia. Ma a "Big Hero 6" manca la capacità di saper sfruttare e di sapersi destreggiare in quei momenti in cui il bisogno diventa accantonare, per qualche secondo, lo stradone principale (quello si, ben studiato) e imboccare vicoli più bui, dove - per intenderci - il neo-supereroe, solitamente, subisce uno scontro con la sua crisi interiore, comprendendo forze, debolezze e, nel caso di Hiro, raggiungendo, infine, la maturità adolescenziale.
L'unica sequenza presente in cui il protagonista tenta di eseguire un passo del genere - chiudendosi in sé stesso e nella sua sofferenza, e non compiendo alcun movimento - avviene ancora prima di indossare l'armatura, e non c'è alcuna traccia o segnale che possa dare adito a quello sblocco di consapevolezza che quando in lui si fa strada, lo fa più per avanzamento di trama che per altro.
Tuttavia queste dinamiche per la Disney non erano affatto sconosciute, considerando che le aveva sapute già manipolare alla perfezione in gran parte della sua filmografia. Ma probabilmente è stato proprio l'averle dovute ragionare con il cervello di qualcun'altro a fare in modo che gli venissero a mancare, compromettendo il cuore di un lavoro tendenzialmente costruito per commuovere, scaldare e istruire. Perché se è vero, in fondo, che lo stampo di "Big Hero 6" sia decisamente marvelliano, è altrettanto vero che i suoi personaggi siano decisamente e dichiaratamente di stampo disneyano: basti pensare all'età anagrafica dei sei strambi scienziati e alla fisionomia del medico-robottino Baymax, tratteggiata ad hoc per essere dolce, scherzosa e rassicurante. E' solo il movimento compiuto in scena perciò a tradire l'intera intelaiatura, quel voler cambiare punto di vista e guardare ogni cosa da una prospettiva diversa e sconosciuta: esperimento di cui anche la sceneggiatura della pellicola si fa carico e che a qualcuno di noi lascia pensare che la casa di Topolino, forse, sia alla ricerca di un franchise proficuo e solido a cui di affidarsi per rimanere al passo con chi gli dichiara puntualmente spietata concorrenza.
E se lo scopo doveva essere soltanto questo, "Big Hero 6" lo raggiunge in pieno e con grandissima scioltezza: d'altronde l'intrattenimento che offre oltre ad esser collaudato e dinamico sa essere anche spettacolare nelle immagini e nelle sequenze d'azione. Certo, noi avremmo preferito che la Disney avesse continuato ad essere Disney, evitando ogni tipo di mascheramento, ma evidentemente l'elisir utilizzato per "Gli Incredibili" al momento scarseggia e quella dell'imitazione è un'arte che funziona meglio di quanto ognuno di noi possa prevedere.
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