di Daria Risalvato
Ho letto di un monaco zen che ha disegnato un cerchio: un segno che ha un inizio e che ha una fine. Un grande cerchio che, semplicemente, si chiude. Si chiude così, su se stesso. Ed è questa per lui la Strada.
Eppure se la mia Strada non fosse poi un cerchio? Se non fosse vero che ruota su se stessa? Se fosse invece un segmento di cui incerto è l’inizio ed incerta è la fine? E che eppure è lì, non per inerzia, ma perché in maniera pensata cresce? A questo credo e questo ho sempre sentito. Cresce. La Strada l’ho sentita sempre così, e giornalmente l’ho vista evolversi.
Per la prima volta da quando ho iniziato la mia corsa siedo accanto a una donna che sta terminando la sua. Non avevo mai pensato veramente al capolinea. Non l’avevo mai guardato se non con indifferenza. Con un egoistico “Chissà dove mi tocca scendere…”.
E mi ritrovo ferma a guardare chi con me sta viaggiando. Mi ritrovo per giorni a guardare lei, a desiderare che non se ne vada.
Lei non può già scendere, aveva detto che ci saremmo riviste anche quest’estate. Non può essere la sua fermata, e di certo non è il suo capolinea.
Non me ne sono accorta, non l’ho vista scendere giù e non c’ho creduto.
Me l’hanno detto allora: “Daria, se n’è andata”.
Ma se n’è andata dove? Non è vero.
“Daria, se n’è andata”.
Perché me lo dici?
Adesso lo sento. Ho paura, sto piangendo. Se n’è andata.
Passa un istante, ne passano due, rifletto: non è vero, è ancora qui. Non scende mai nessuno da qui, chi vorrebbe scendere? È qui, siamo tutti qui.
“Daria, se n’è andata”.
Tutto torna, piango ancora.
Di circolare c’è solo la percezione che ho della sua assenza, irreale e reale ancora, irreale e reale di nuovo, all’infinito, ma che la sua Strada sia stata un cerchio non lo credo. Come non lo è la mia. Come non lo sarà.
Lei non è stata, non si è chiusa. Non è tornata all’inizio. Lei in fondo è, per forza.
Va ancora, hanno solo staccato per lei un nuovo biglietto.
È solo la corsa ad essere diversa.