Passeggiando l’8 dicembre fra gli stand di Più libri più liberi e chiacchierando un po’ con chi stava in quel metro quadro di spazio, pagato-sudato-allestito con amore e speranza, ho capito due cose fondamentali:
- si vendono sempre meno libri (e questa non è una novità. Speriamo che gli eBook, meno cari e più “raggiungibili” compensino il trend negativo della carta)
- ci sono sempre più editori a pagamento (meglio noti come “tipografi”).
Potremmo considerare innanzitutto il fatto che in una Fiera della piccola e media editoria, che per giunta si chiama Più libri, più liberi (e pubblicare a pagamento non mi sembra tanto segno di libertà) si dovrebbe/potrebbe fare un minimo di selezione e cercare di dare meno spazio possibile a chi per STAMPARE (non pubblicare, perché pubblicare sarebbe distribuire, promuovere, credere in un progetto) si fa pagare.
Lasciamo stare gli organizzatori della Fiera, che potrebbero controbattere che libertà è anche avere uno spazio qualunque sia la condotta editoriale, che anche grazie all’affitto dei loro stand (pagati con i soldi degli scrittori) è possibile dare spazio a piccole e medie realtà editoriali che altrimenti non potrebbero avere visibilità se la Fiera fosse cancellata per mancanza di fondi.
Consideriamo invece gli aspiranti scrittori che pagano mille, duemila, duemila e ottocento euro (cifre vere, riportate in contratti veri) a una “casa editrice” che spesso (non sempre, fortunatamente) non cura nemmeno l’editing, non distribuisce (se non 400 copie in 400 librerie, ossia una per libreria. sic!) e non promuove – se non con una, due presentazioni che vanno semi deserte o riempite dai parenti dello scrittore e da qualche “comparsa” e con l’immancabile relatore (quasi sempre lo stesso) che hanno pagato loro con il loro “contributo”.
Scrittore che è costretto a comprare a prezzo di copertina le copie del suo stesso libro, come contributo al rischio d’impresa.
Scrittore che deve poi sbattersi per farsi organizzare da librerie, locali, circoli le presentazioni completamente a sue spese, senza nemmeno il solito relatore a dargli lustro (agli occhi di chi non conosce il solito relatore).
Pubblicare a pagamento è come andare dal salumiere, chiedere un etto di mortadella e pagarla 50 euro come contributo al mantenimento dell’affettatrice e in più la mortadella te la devi incartare tu.
O, similitudine un po’ più colorita, è come andare a mignotte, pagare e dire che vengono con te perché ti amano. Se un editore ti fa pagare è perché in fondo in fondo non crede che il tuo libro venderà. Forse.
Chiudo con due delle – tante – realtà che si occupano di questa cosa e si battono per diffondere il loro pensiero. Una è Zero91, casa editrice di Milano dalle origini palermitane (Costantino&Costantino, i due editori, sono palemmitani doc e 091 è il prefisso di Palermo), che hanno organizzato la conferenza NO EAP contro l’editoria a pagamento di cui trovate il video sul loro sito www.zero91.com (che vale la pena di visitare) oppure qui.
E un’altra la trovate sul sito Writer’s Dream (www.writersdream.org) che periodicamente pubblica una lista in cui vengono indicati tutti gli editori che in questo momento pubblicano a pagamento, quelli che un po’ si fanno pagare e un po’ no e gli editori free.
Qui quella aggiornata di fresco da writer’s dream. Moooolto lunga. Troppo.