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Bilancio Fornero

Creato il 22 marzo 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

Bilancio ForneroA distanza di quasi un anno dalla sua introduzione, vediamo di tirare le somme sulla riforma del mercato del lavoro, pensata dal (ormai ex) ministro Fornero. Che, fin dall'inizio, ne avessimo una pessima opinione, lo potete leggere nei precedenti articoli sul nostro blog ed i fatti, ahinoi, ci hanno dato ragione.

Partiamo dai presupposti stessi della riforma: creare più sicurezza nei rapporti di lavoro, favorire la flessibilità e l'occupazione, diminuire la burocrazia. Se questi erano gli obiettivi, possiamo già dire che la Fornero ha miseramente fallito. Vediamo perchè:

1 – Sicurezza del mercato del lavoro. "Eliminare il dualismo tra precari e tutelati" era uno dei dogmi del Ministro e, in un certo senso, possiamo dire che ha avuto successo: eliminando le tutele, ha precarizzato tutti. Lo dimostrano i dati: dall'entrata in vigore della riforma (luglio 2012), il 67% delle nuove assunzioni è avvenuta con contratti a termine.

Di questi, solo il 5% è poi stato stabilizzato, il 4% è stato trasformato in un contratto a termine con più tutele, il 22% in un contratto a termine con meno tutele e ben il 27% non è stato rinnovato. Inoltre, se, prima della riforma, il datore di lavoro era obbligato a dar giustificazione (aumento della mole di lavoro, sostituzione di dipendenti in malattia o maternità, ecc.) per la sottoscrizione di un contratto a termine, anzichè di uno a tempo indeterminato, oggi non è più necessario, se il rapporto di lavoro è inferiore a 12 mesi (praticamente il 90% dei contratti precari!!!).

2 – Burocrazia e costi. Alle difficoltà della crisi economica, si sono aggiunte quelle create dalle regole ferree della riforma. Tanto per cominciare, il nuovo contratto d'apprendistato, fortemente voluto dalla ministra, non ha funzionato per niente, essendo stato utilizzato, nei primi mesi del 2013, in appena il 3,9% delle nuove assunzioni.

Con la scomparsa dell'Articolo 18, inoltre, il reintegro sul posto di lavoro scatta solo in caso licenziamento discriminatorio, non sempre dimostrabile in sede giudiziaria. La riforma, infatti, è – volutamente? – vaga e lacunosa su questo punto, lasciando ampio margine di discrezionalità ai giudici, con il rischio di ingolfare i tribunali del lavoro e di creare spiacevoli conseguenze per la parte più debole, cioè il lavoratore.

3 – Occupazione e costi. L'aumento delle tasse (+1,4% sull'imponibile) ha inasprito il costo del lavoro, cosa che ha spinto le aziende a cercare sistemi per aggirare il problema: vedi, ad esempio, l'aumento anomalo delle partite iva, oppure la contrazione dei salari nel nostro Paese. Per finire, l'aumento dell'obbligo di pausa tra un contratto a termine e l'altro (30 giorni per contratti inferiori ai 6 mesi, 50 per quelli superiori a 6 mesi) impedisce di fatto i rinnovi (quale azienda, in piena crisi economica, ha il tempo e la voglia di aspettare un lavoratore per 1 o 2 mesi???).

Detto in parole povere, la riforma ha reso più facile licenziare e più difficile assumere, ha esteso la precarietà e ha creato dei rapporti di forza, tra aziende e lavoratori, fortemente sbilanciati a favore delle prime. Gli effetti, su un Paese già in difficoltà, sono stati devastanti. In questi giorni, siamo assistendo al valzer delle consultazioni, per la formazione del nuovo governo. Proprio i disastri creati dalla Fornero devono essere tra i primi problemi da affrontare e risolvere, altrimenti dalla crisi non si esce.

Danilo


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