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Billy Cobham: 68 anni e non sentirli

Creato il 21 febbraio 2012 da Scribacchina

Billy Cobham

Sì, 68 per dire: compirà gli anni a maggio, il Billy Cobham.
Per ora è ancora nei 67.

Però però.
A pensarci bene, se mentalmente metto vicini lui e la di me mamma, fresca 71enne, vedo una grande, grandissima differenza.
Altro che tre anni di differenza: occhio e croce, direi che li separan almeno vent’anni.

E non lo dico così per dire, nossignori: Billy Cobham l’ho visto da una distanza di dieci-centimetri-dieci, sabato sera 11 febbraio al Blue Note di Milano. Me lo ritrovai in zona toilettes, a fine concerto; l’occasione era ghiotta: non potei non avvicinarmi per stringergli la mano e fargli le mie più sentite congratulations.
Debbo dire che mi stupì notare come il suo viso fosse privo di rughe: niente zampe di gallina, zero solchi cutanei. Pelle liscia e fresca come quella di un quarantenne – che dico? d’un ventenne.
Sento odor di Dorian Gray, soliti lettori.

Inesistenti inestetismi cutanei a parte, parliam di cose serie: del Billy alla batteria. Un portento, un mago delle quattro bacchette (ha il vezzo d’usarne due per mano, talvolta). Protagonista assoluto d’un concerto che dir spettacolare è poca cosa.

La serata iniziò nel peggiore dei modi, meteorologicamente parlando.
Eran secoli che non andavo a sentire un concerto in Milano: proprio la serata dell’11 febbraio mi va a nevicare?
Quasi quasi mi stavo pentendo, soliti lettori, d’aver tralasciato i doveri di
Scribacchina seria e non esser andata a sentire Bosso e soci al PalaCreberg.
Invece, sorpresa: dopo qualche km di autostrada, neve sparita.
Tutto limpido, ghiacciato ma limpido.
E, incredibile, zero traffico. 

Billy, aspettami: sto arrivando.

***

Il Blue Note è una bella sorpresa, per chi non lo conosce: un locale blu e nero, caldo e raccolto. I tavolini già pronti, come in un jazz club newyorkese; il palco al centro, tanto vicino che quasi potresti toccare con mano gli strumenti. La carta dei vini, pochi ma ben selezionati. Il menu con un graditissimo occhio di riguardo per i vegetariani.
E la sopraffina scelta dei musicisti, con un cartellone invidiabile.
Quasi dispiace non abitare a Milano per poterci andare più spesso.

***

Sì, soliti lettori, bella la carta dei vini, ma… questi garçons, gliela vogliamo dare qualche informazione in più, magari corretta? M’han portato un vinello niente male, spacciandolo per biologico e passato in barrique per 6 mesi. Santissimo iPhone rivelò invece che non trattavasi di bevanda bio e che la barrique, il buon vinello, l’aveva vista per ben 12 mesi.
Oh, beninteso, nulla di male: Scribacchina ci farebbe i suffumigi, col vino barricato. Ma c’è una bella differenza tra un passaggio di 6 e uno di 12 mesi.

Tutto questo a parte, debbo dire ch’è un Signor Vino, l’Orano della Maria Pia Castelli. Chapeau per la selezione.

***

Mancano pochi minuti al concerto, l’occhio cade sulla doppia cassa della batteria. Mea culpa, non ricordavo che Cobham avesse una doppia cassa; l’avevo già sentito dal vivo a un festival jazz, anni fa, ma questo particolare della doppia cassa proprio mi suona nuovo (sarà che ho un occhio di riguardo solo per i bassisti e il loro equipaggiamento?).
Poi, capirai, uno vede una doppia cassa e pensa subito a cavalcate speed metal e simili.
Cassa singola o doppia cassa, comunque, Cobham è sempre lui, non è cambiato di una virgola da come l’avevo in testa: strepitoso drummer e altrettanto strepitoso regista di uno spettacolo dalle coinvolgenti sonorità fusion. Un gran piacere ascoltarlo con la sua band: sarà stato anche per l’acustica perfetta del Blue Note. Era da tempo che non mi capitava di sentire così bene del jazz.

***

Al Blue Note, il Billy sembra trovarsi benone; bel bello in mezzo al palco, dietro  alla sua batteria, è contornato da cinque notevoli artisti delle sette note che vado ad elencarvi:
Kevin Reveyrand al basso elettrico (soliti lettori bassisti, un applauso al talentuoso giovine, grazie)
Christophe Cravero alle tastiere e violino 
Jean Marie Ecay alla chitarra 
Wilbert Gill dedito a percussioni e steel pan 
Camelia Ben Naucer bella e brava donzella alle tastiere (hammond).
E se domandate la scaletta del concerto, beh, citerò un solo, unico brano il cui nome parla da sé: SPECTRUM.
Doppio, triplo e pure quadruplo WOW.
(WOW che dissi pure, mentalmente, all’arrivo della
Tarte Tatin portata da Garçon durante uno dei soli del Jean Marie).
En passant noterò come la brava Camelia, in pausa tra un solo suo e uno del collega Christophe, eseguisse con nonchalance sul palco gl’esercizi di stretching che il bravo John Petrucci ha bene illustrato nel video titolato Stretches & Massages. Utili esercizietti che vi consiglio senz’altro, soliti lettori bassisti e chitarristi.

***

Vi dico la verità: una volta acquistato sul sito del Blue Note il biglietto del secondo spettacolo, ore 23.30, qualche ripensamento l’ho avuto. Forse sarebbe stato meglio scegliere l’esibizione delle 21, orario sicuramente più abbordabile?
E invece, la scelta è stata azzeccata: a tarda ora, uscire dal Blue Note significa vedere una Milano un poco diversa dalla colata di cemento alla quale siamo abituati. L’allergia che mi prende ogni volta che vedo – di giorno – i grigi grattacieli diventa, all’alba della una di notte, respiro un po’ più libero. Quasi una parvenza di respiro di sollievo.

Con un po’ di tristezza, noto come la notte abbia un grande pregio/difetto: quello di nascondere le brutture.
Di notte non ci si rende completamente conto di quanto la zona isola sia ormai ipercementificata, iperviolentata, ipersfruttata.
Tutto in nome di quel diavolo dl Dio Soldo che vuole far diventare - e ci sta riuscendo, oh, se ci sta riuscendo - la pianura padana un’unica, infinita, orribile striscia di cemento.


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