Come ho spesso avuto modo di dire, Milano ha ritmi serrati e incalzanti, gli abitanti camminano distratti a testa bassa assorti da mille preoccupazioni, mentre la città nasconde luoghi di cui molti ignorano l’esistenza. Avevo in mente da molto tempo di visitare il tristemente famoso binario 21, un tempo utilizzato per il carico e lo scarico dei pacchi postali e delle lettere poi smistate dal palazzo delle poste, che imponente affianca la stazione in Via Ferrante Aporti.La memoria deve correre agli anni della guerra quando fu testimone delle deportazioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti.
Il luogo non è particolarmente pubblicizzato e dall'esterno sembra essere una parte della stazione un po’ più pulita, ma una volta dentro si ripercorrono i peggiori momenti della storia più recente. All'ingresso si viene accolti da un’enorme scritta, una sola parola: INDIFFERENZA, che ricorda il sentimento di molte persone nei confronti di ciò che stava accadendo.Nelle sale contigue, invece, insieme alle tappe principali che hanno funestato la storia Europea sono raccolti racconti e testimonianze di decine di persone in fuga o imprigionate nei campi di concentramento e che difficilmente hanno rivisto casa. Più indietro i binari dell’epoca sui quali sono stati lasciati alcuni convogli originali utilizzati per il trasporto delle persone verso i campi di concentramento. Sul muro, dietro ai convogli, sono proiettati i nomi delle oltre 700 persone che partirono da quel binario: in bianco le vittime e in giallo i sopravvissuti poco più di una ventina. I nomi non sono statici ma vengono messi in evidenza a rotazione, per restituire dignità a queste persone.Una visita molto toccante che non riesco a raccontare con le mie parole, lascio allora spazio a quanto ho letto su una delle molteplici targhe a imperitura memoria di questa strage. È il 30 gennaio 1944 mattina. Milano è gelida e deserta. Nella totale indifferenza 605 esseri umani sono spinti sui camion che li aspettano nei cortili di San Vittore, il carcere nei cui raggi - il IV e il V - hanno soggiornato per settimane. Da lì sono condotti alla Stazione Centrale, attraverso il sottopassaggio di via Ferrante Aporti, fino a un binario fantasma nascosto, sul quale sono fermi ad aspettarli i vagoni speciali: carri bestiame dove vengono stipati con furia, fischi, latrati di cani e urla di altri esseri umani, italiani e tedeschi, che ritengono giusto compiere il proprio dovere con la violenza e la fretta necessarie per comporre il convoglio RSHA destinato al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.È urgente alimentare la macchina della morte perché gli ebrei vanno cancellati dalla faccia dell’Europa indipendentemente dagli altri obiettivi di guerra.L’operazione è già stata collaudata il 6 dicembre 1943, e sarà ripetuta altre volte, per un totale di 15 trasporti. Solamente i primi due compiranno il tragitto Milano-Auschwitz in un’unica tratta, gli altri faranno scalo in stazione o campi di concentramento intermedi prima dell’avvio definitivo alla “soluzione finale”.Nessuno degli aguzzini si ribella su quel binario, anche se fra quei 605 ci sono tanti bambini, persino un neonato. Ci sono anziani, donne e uomini stremati e spaventati, famiglie intere, madri e padri che cercano di proteggere i propri figli che non piangono più per non straziare ulteriormente i propri genitori.Quelle 605 persone salite sul convoglio, il 30 gennaio 1944 non furono incarcerate e condannati a morte per gravi crimini di guerra, ma solo perché ritenute di “razza” inferiore, di “razza ebraica”.Era gente comune, come voi, che oggi state viaggiando nelle loro storie, nella Storia degli anni 1938-45 e nelle vostre coscienze di donne e uomini liberi.A loro, oltre ciò che avevano addosso, erano rimaste le poche cose sopravvissute ai tentativi di fuga, ai sequestri, alla guerra e, forse, la segreta speranza che ciò che stavano vivendo fosse solo un terribile incubo. Speranza che subito e dolorosamente abbandonarono su quel binario fantasma della Stazione Centrale di Milano, la città in cui molti di loro erano nati e cresciuti! Prima di iniziare a viaggiare nel tempo provate a considerare quella libertà negata. Voi oggi siete liberi di studiare, di lavorare, di ascoltare la radio, di parlare al telefono, di innamorarvi di chi vi pare, di sognare, di vivere una vita normale insieme alla vostra famiglia.A quelle 605 persone E alle altre 7000 circa deportate dall’Italia, tutte queste ovvie libertà furono negate con le Leggi speciali per la Difesa della Razza, approvate all’unanimità dal Parlamento e sottoscritte oltre che da Mussolini anche dal re, già nel 1938.A partire dall’autunno del 1943, con l’invasione nazista dell’Italia Centro-Settentrionale e la nascita della Repubblica di Salò, fu tolta loro anche la libertà di esistere.Da quell’indicibile esperienza riemerso in pochissimi. Soli, sopravvissuti, tornarono e non trovarono più i genitori, i nonni, i figli nemmeno le loro case. Gli “altri” non erano neppure disposti ad ascoltare le loro storie, troppo scomode e dolorose per gente che, dopo le privazioni della guerra, aveva voglia di ricominciare una vita normale.La mostra del Binario 21 della Stazione Centrale di Milano è pertanto dedicata a chi è partito e tornato nel silenzio, ma soprattutto a chi non è mai tornato. È dedicata anche a Milano. Da quel binario dimenticato della sua grande Stazione Centrale potrebbe ripartire un treno diverso: dipende anche da ciascuno di noi che questa mostra rappresenti solo l’inizio del suo viaggio e la nascita di un luogo della memoria per una Milano più degna, più vera, più umana.
Marco Boldini
Magazine Viaggi
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