“Oggi siamo qui a ricordare un politico che ha pagato con la vita la libertà e la forza di prendere posizione contro la mafia”. A dirlo la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, che oggi a Palermo ha ricordato nel 35esimo anniversario della sua uccisione il presidente della Regione, Piersanti Mattarella.
(livesicilia.it)
La mafia non esisterebbe senza legami con la politica. “Una caratteristica della criminalità mafiosa – ha proseguito Rosy Bindi – è il rapporto con la politica, con il potere della pubblica amministrazione e i poteri economico-finanziari. Se non ci fossero i legami con la politica forse non ci sarebbe la mafia e la mafia vive anche di questo. Anche le indagini sulla Mafia Capitale – ha proseguito Bindi – dimostrano che non si sarebbe applicato il 416 bis senza i rapporti con il cosiddetto mondo di sopra. Tra le carenze del Meridione c’è quella di una classe dirigente e politica all’altezza delle sfide di queste terre. Ci ispiriamo a lui o ad altri politici – ha concluso -, come Pio La Torre proprio per aggredire questi rapporti”.
Il 35esimo anniversario dall’uccisione del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. Piersanti Mattarella è stato un politico italiano, assassinato dalla mafia mentre ricopriva il ruolo di presidente della Regione Siciliana nel 1980. Da sempre vicino alla Democrazia Cristiana, fra i suoi ispiratori ci fu Giorgio La Pira, avvicinandosi in seguito alla corrente politica di Aldo Moro. Iniziò la sua carriera politica negli anni ’60 divenendo prima consigliere comunale di Palermo e dopo deputato all’Assemblea regionale siciliana per due mandati, quelli del 1971 e del 1976. Il Procuratore Giancarlo Caselli, in un’intervista a Repubblica del 12 agosto 1997, ha affermato: “Piersanti Mattarella un democristiano onesto e coraggioso ucciso proprio perché onesto e coraggioso”.
L’uccisione di Piersanti Mattarella, un delitto atroce. Il 6 gennaio 1980, appena entrato in auto insieme con la moglie, coi due figli e con la suocera per andare a messa, un killer si avvicinò al suo finestrino e lo uccise a colpi di pistola. Inizialmente fu considerato un attentato terroristico poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neo-fascista. Pur nel disorientamento del momento, il delitto apparve anomalo per le sue modalità, portando il giorno stesso lo scrittore Leonardo Sciascia ad alludere a “confortevoli ipotesi” che avrebbero potuto ricondurre l’omicidio, in modo comodamente riduttivo, alla mafia siciliana.
Le indagini e i motivi dell’omicidio: Matterella contrastava il referente politico dei Corleonesi, Vito Ciancimino. Le indagini giudiziarie procedettero con difficoltà e lentezza, anche se una chiara linea interpretativa del delitto si rileva negli atti giudiziari che portarono la Procura di Palermo a quella corposa requisitoria sui “delitti politici” siciliani (le uccisioni di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana, dello stesso Mattarella, di Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo) che, depositata il 9 marzo 1991, costituì l’ultimo atto investigativo di Giovanni Falcone. Solo dopo la morte di Falcone nella Strage di Capaci l’uccisione di Mattarella venne indicata esclusivamente come delitto di mafia dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, che fino ad allora non aveva fornito indicazioni in proposito. Nonostante Stefano Bontate ed i suoi alleati non fossero d’accordo con l’uccisione di Mattarella, non potevano dire di no a Riina: fu un omicidio voluto dalla “Commissione”, perché Mattarella voleva portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale e per questo aveva iniziato a contrastare l’ex sindaco Vito Ciancimino per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi. Ciancimino infatti era il referente politico del clan dei Corleonesi: Mattarella aveva chiesto il commissariamento del Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana perché aveva visto “ritornare con forte influenza Ciancimino”, il quale aveva siglato un patto di collaborazione con la corrente andreottiana, in particolare con l’onorevole Salvo Lima.
Nel 1995 vennero condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio Mattarella: i boss mafiosi di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati né risultano, a più di tre decenni dal delitto, piste investigative che facciano sperare nella possibilità di acclarare compiutamente l’accaduto.