La cosa sorprendente per me che l’ho visto da un po’ è che Birdman è l’esatto contrario di tutto questo: non è noioso o brutto, ma abilmente banale, un contenitore nel quale convergono tutti i topoi della cultura di massa americana dalla favolistica del retroscena teatrale, al culto dei supereroi, ai luoghi comuni su vita, amore e successo, su vincenti e perdenti, su arte e intrattenimento con superficiali e spicciole incursioni su mille temi, compreso quello dei social network. In realtà a cominciare dal super sfruttato ambiente teatrale il film, anche nelle parti più interessanti, come il sonoro o le modalità di ripresa, è un accurato collage di stereotipi già ampiamente utilizzati, talvolta serviti anche dopo la data di scadenza: in quanto tale risulta di puro, anche se suggestivo e coinvolgente intrattenimento. Tanto che probabilmente il regista messicano Inarritu è stato premiato per essersi mostrato come non mai un fedele ideologo “americano” di adozione hollywoodiana. Un perfetto integrato da esporre nella fiera della superiorità Usa.
Con questo non voglio fare critica cinematografica, ma semplicemente evidenziare un parallelo con taluni meccanismi della comunicazione che si autodefinisce “alta” o viene colta come tale, ma che in realtà non fa altro che ribadire luoghi comuni cucendoli fra loro in forma più elaborata. L’apparenza può essere quella dell’intervento pensato, didascalico, talvolta supponente, ma la sostanza è vacua e non molto più significante dei twitter da cui attinge. Basta pensare a questo proposito ai vari opinionisti dei grandi giornali che talvolta, com’è accaduto a Panebianco sul Muos, riescono a inanellare un numero impressionante di errori fattuali in poche righe, dimostrando tutta la leggerezza servile di cui sono capaci e il fatto che non sanno nulla di ciò di cui parlano né si danno la pena di saperlo perché in ogni caso il apdrone ha sempre ragione. Certo un film o un romanzo non hanno nessun obbligo di aderire a qualche realtà specifica e l’estetica può farsi strada anche attraverso la composizione e la scomposizione di stereotipi, ma il discorso pubblico non può permetterselo se non vuole diventare una intera menzogna tesa a sostituire il mondo reale con una confusa e abbozzata narrazione, peraltro piuttosto noiosa.
Se poi non c’è nemmeno la mano di un regista decente o di un buon attore, come nel caso del Birdman politico italiano, ex supereroe della minchia e della Leopolda, ma vero cane da palcoscenico delle idee, il risultato sono le “tragicomiche”, un film di Pierino da cui i beneficiati diretti e indiretti fanno finta di voler trarre chissà quali significati. Tra un peto e un raffinato calambour fanno pagare ai cittadini il doloroso biglietto del loro cinema, fingendo che la loro misera trama sia da oscar.