Magazine Cinema
di Alejandro Gonzalez Inarritu (Usa, 2014)
con Michael Keaton, Edward Norton, Zach Galifianakis, Emma Stone, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Naomi Watts
durata: 119 minuti
★★★★☆
"Lei non è un attore, Sig. Thomson. E' soltanto una celebrità". Parole di Tabitha Dickinson, la critica teatrale più temuta di Broadway, che pesano come macigni sul già scalcinato ego di Riggan Thomson, ex-star del cinema divenuto popolarissimo nel ruolo di Birdman, supereroe alato che gli ha regalato la fama planetaria ma non la consacrazione a grande attore. Riggan è ossessionato dal desiderio di dimostrare il suo talento, al punto da rinunciare a girare l'ennesimo sequel del suo personaggio per buttarsi anima e corpo nel teatro, portando a Broadway un ambizioso adattamento letterario di Raymond Carver ("Di cosa parliamo quando parliamo d'amore"), spettacolo sobrio e lontano anni-luce dalle paillettes hollywoodiane...
Girato tutto su un infinito piano-sequenza, infarcito di citazioni 'colte', raffinato e amabilmente 'snob', Birdman è il film più autoriale e complesso della carriera di Inarritu, che scandaglia (non certo per primo, ma non è un delitto) il terreno del meta-cinema con una buona dose di ironia e humor nero, regalandoci una riflessione moderna sul tema non nuovo (ma nemmeno scontato) dell' "arte che racconta se stessa": lo fa entrando nelle viscere nel teatro, inteso sia come luogo fisico che metaforico, seguendo passo passo i protagonisti dietro le quinte e mostrandoci il lato oscuro di un mondo patinato e ammaliante, dispensatore di sogni ma anche di crudeli illusioni, spesso destinate a rimanere tali.
Questo è l'aspetto più interessante e riuscito di Birdman, ovvero il parallelo tra la vita da artista e la vita reale, che secondo Inarritu non sono affatto distanti, anzi: nell'umanità 2.0, dominata dall'apparenza, le due esistenze si sovrappongono fino a coincidere, in quanto conta solo quello che accade sul palcoscenico, sotto i riflettori: ognuno di noi, del resto, chi più chi meno, è costretto ad improvvisarsi attore, a recitare una parte nella vita di tutti giorni nella speranza di sentirsi 'accettato' dagli altri. E' la società delle masse e della massificazione, dove sei qualcuno solo se la gente ti riconosce, indipendentemente da quello che fai. E dove magari sputi l'anima per riempire un teatro su un testo di Carver, per poi scoprire che due milioni di persone in un'ora, sui social, ti hanno visto correre in mutande in mezzo a Times Square...
Logico quindi che la scelta di Michael Keaton nel ruolo del protagonista non sia affatto casuale: Keaton è (era?) effettivamente un attore in declino, tagliato fuori dallo star-system dopo aver rifiutato il terzo Batman e in seguito incapace di rifarsi una carriera. In Birdman, esattamente come Riggan Thomson, dimostra tutta la sua classe e il suo coraggio, mettendosi letteralmente a nudo (anzi, in mutande) in una parte crudele e parzialmente autobiografica, ben consapevole che chiunque vedendo il film avrebbe fatto il parallelo tra il suo personaggio e la sua vita: una scelta forse ruffiana, fin troppo ad effetto (come sostengono i detrattori di Inarritu) ma qualitativamente felicissima: Keaton è straordinario nella sua interpretazione sofferta e drammaticamente umana di un uomo alle prese con la sua coscienza e con i cocci della sua vita privata (dove si dibatte tra una figlia tossica e disillusa, un'amante che non ama, un ex-moglie che ama ancora e un collega-attore che gli ruba la scena).
Birdman è un film sicuramente artefatto, che in parte sconta un'impostazione concettuale e poco spontanea di fondo. E' un film più di forma che di sostanza, ma la messinscena è assolutamente perfetta e le interpretazioni degli attori (non solo quella di Keaton) sono tutte di rilievo (con menzione speciale per la bella Emma Stone, sorprendentemente credibile e misurata in un ruolo per lei inusuale, quello della figlia problematica). Birdman alla fine riesce nel suo scopo, quello di aprirci gli occhi sui veri valori della vita, su quanto sia difficile (ma necessario!) trovare il nostro posto nel mondo, invitandoci a diffidare di chi conduce vite apparentemente invidiabili e meravigliose. Lo fa con uno sguardo severo ma non cinico, quasi consapevole della strenua lotta che ognuno di noi combatte contro i propri fantasmi: e il finale 'aperto', così criticato da molti, forse va letto proprio in questo senso...
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