di Caterina Steri, Psicologa-Psicoterapeuta. Il titolo di questo post si ispira all’ultimo film che ho visto al cinema “Perfetti sconosciuti”, una commedia italiana diretta da Paolo Genovese. Non è mia intenzione descrivere la storia del film, onde evitare di rovinare la sorpresa a chi ancora
non ha avuto la possibilità di vederlo. Posso dire invece che mi ha divertito parecchio e che, come tante commedie italiane di spessore, mi ha fatto pure riflettere. Descrive infatti l’Italia al tempo degli smartphone e quanto abbiamo deciso di investire su di essi, non tanto a livello economico, ma riguardo alla nostra quotidianità personale e più intima. Vengono infatti definiti “scatole nere” delle persone, che racchiudono tutto ciò che le riguarda. Il film si articola tra momenti di goliardia e crisi molto forti, finchè ad un certo punto si parla del fatto che “bisogna imparare a lasciarsi” con tutto ciò che questo potrebbe implicare, tra cui importanti sofferenze. Infatti la tendenza umana a cercare sicurezza, seppure apparente, risulta uno degli obiettivi più importanti della vita. Nonostante, come ho detto, sia essa solo di facciata, in un certo senso fa illudere che sia quella più giusta per se e per gli altri, fino a che i segreti più reconditi non vengono a galla rischiando di far esplodere qualsiasi equilibrio e in modo anche drammatico. E’ per questo motivo che bisogna imparare a lasciarsi prima dell’esplosione di prevedibili drammi.Investiamo tante energie per sopportare certe situazioni convincendoci di essere forti, quando invece la scelta più coraggiosa è proprio quella di lasciare andare. Convinzione che si scontra con l’idea di quella sicurezza ideale che vorremmo, ma che in realtà è impossibile raggiungere, non perché non ne abbiamo le capacità, ma semplicemente perché non ci poniamo nella situazione adatta per farlo. Pensiamo ad esempio a quando ci si vuole convincere che persistere in una relazione che ci fa stare male sia giusto perché tanto prima o poi cambierà e ci aggrappiamo all’obiettivo di cambiare la persona che sta con noi.Dietro a questa illusione sta la concezione negativa del lasciare, vissuto a volte come una regressione piuttosto che un’evoluzione. Dirigersi verso un cambiamento del genere può stravolgere la vita e creare un’angoscia tale da essere più profonda del problema stesso che ne ha originato l’esigenza di realizzarlo. Ma la forza di questa angoscia, se si persevera nel raggiungimento del proprio obiettivo, sarà costretta a diminuire per lasciare spazio ad un nuovo benessere. E questo è quello che può succedere quando si decide di lasciarsi. Chi è poco propenso ad un lavoro di introspezione, evita di chiedersi come sta e non si rende conto di avere dei problemi, convincendosi del fatto che questi appartengano solo alle vite altrui, che non esistano realtà diverse dalla propria.Imparare a lasciarsi quindi significa imparare a riconoscere una malsana realtà e ad impegnarsi a costruirne una migliore, per sé e per l’altro. Certo, non è un processo facile, spesso molto doloroso e luttuoso. Ed è proprio questo genere di dolore che fa insistere a respingere il cambiamento. Senza la separazione da situazioni critiche però non viene ammessa l’evoluzione. Naturalmente, la frase del titolo non riguarda solo situazioni sentimentali, ma anche professionali, amicali, parentali e può assumere un aspetto metaforico, nel senso che il lasciarsi implica anche il concetto di lasciarsi andare, lasciare una situazione infelice per darsi ad una vita migliore.Un’altra riflessione ispirata al film è quanto possano essere autentici i rapporti che costruiamo se non offriamo la nostra parte più autentica?