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Bisogna incendiare il Louvre?

Da Paolo Statuti

   Di Karol Stromenger (1885-1975) ho già tradotto e pubblicato in questo blog il feuilleton “Il Requiem di Mozart”. Oggi propongo ai miei lettori il testo iniziale del suo libro “Feuilleton musicali”, pubblicato nel 1970.

 

Bisogna incendiare il Louvre?

(a mo’ di introduzione)

 

   Fino alla II guerra mondiale esisteva in Olanda un premio annuale di una fondazione privata, un premio per la migliore poesia… in latino! I candidati erano pochi: uno specialista già da molti anni era sempre lo stesso vincitore. Ritirava il premio come una rendita annuale fissa, “sicura come una pensione”, come dicevano…un tempo. Evidentemente poche persone ormai amano i gusti degli antichi umanisti; la composizione di poesie latine è diventata un’occupazione inattuabile. Il poeta di oggi ritiene che ai nostri giorni scrivere poesie in latino sarebbe come indossare la toga e truccarsi da Orazio, e che l’imitazione degli antichi stili sarebbe uno sport bizzarro, uno scherzo letterario, tipo parodia “à la manière de…”

   Diversamente ragiona il pubblico profano. Si sentono sempre affermazioni quali: “oggi non scrivono più così!”, “ah, bei tempi quando vivevano e creavano quelli come…” (segue una sequela di grandi nomi), “…e perché oggi nessuno scrive come…?” (esempi). E non è facile rispondere a queste domande a persone che non vogliono ascoltare il passo della storia che avanza inesorabilmente. Una questione a parte è se il progresso nell’arte conduca a un miglioramento, o non rappresenti piuttosto un regresso. Tuttavia i felici ritorni – dal declino ai periodi aurei – non sono una questione di sano orientamento o di buona volontà. Sono piuttosto chimere nate nelle teste degli ingenui. “Perché oggi nessuno compone come Beethoven o Chopin? – quelli come loro oggi non li abbiamo più, generazione infrollita…” ecc. Per rispondere a simili domande bisognerebbe far capire a chi chiede che le stesse sono mal formulate.

   E tuttavia esse si ripetono ostinatamente, oggi più spesso che mai, nei riguardi dell’arte, della letteratura, della musica pura e applicata.

   Alla vecchia radio di Varsavia un giorno scrisse un radioascoltatore, suggerendo di sostituire i mediocri testi delle canzoni moderne con testi nell’antico polacco, ad esempio le Frasche di Kochanowski o le poesie di Wacław Potocki. Non so come quel signore accolse la risposta, che in effetti molti testi brutti e scadenti potevano e dovevano essere sostituiti con testi di buon livello, ma che in generale e in pratica era impossibile di punto in bianco sostituire Hemar (1) con Omero. Se quell’ascoltatore fosse stato un radioattaccabrighe di razza e d’ingegno, avrebbe potuto ribattere con alcuni argomenti, come ad esempio: perché la radio non mette alla berlina la banalità delle canzoni e per mezzo della satira non effettua un “risanamento” dei testi? Sarebbe perfino un tema gradito per i programmi radiofonici. Inoltre avrebbe potuto dire che i cantanti francesi oggi si rifanno a Ronsard, e gli italiani ai poeti del trecento, che l’intero Rinascimento italiano – non fu forse uno stupendo ritorno? Non dite che ciò significherebbe soltanto rimuginare il pensiero e l’arte dell’antichità – quale benedetto moto intellettuale e artistico ha dato il Rinascimento!…E qui la risposta dovrebbe risalire più profondamente alla storia dei movimenti intellettuali, dovrebbe sottolineare che, dopo secoli di oscurantismo e di barbarie, la scoperta dei giacimenti dell’antica cultura ha potuto fecondare e rianimare la maestria e il pensiero dei posteri…che era una situazione particolare…

   Sempre esistono situazioni particolari – in ciò appunto risiede il senso della storia. Eppure non crediamo che oggi – o in futuro – la gente proverebbe entusiamo a scrivere poesie in latino, che si riunirebbe nelle “Arcadie” letterarie, dove ogni membro del club potrebbe esibirsi con il nome di un pastore di Teocrito, oppure che si metterebbe a piantare giardini con Virgilio nella mano. L’arte non è un ballo in costume, dove si può indossare un frac ricamato del bisnonno, con il jabot e la parrucca a treccia – è difficile mostrarsi così tutti i giorni. Qua e là di tanto in tanto si riesce a ridestare un nuovo interesse per qualche antica tecnica o pratica artistica, si scoprono recessi stilistici e dimenticati vicoli della bellezza. Ma passare dal ruolo di utente a quello di creatore secondo il vecchio stile – significherebbe andare contro la corrente del tempo, sarebbe una mascherata, una mistificazione. Solo che…questa nostra corrente della contemporaneità (artistica) può a volte sembrarci debole, perfino in via di estinzione. E allora il pietismo verso l’arte antica avrà sempre il sapore di una fuga dalla attualità, il sapore di una stanchezza della contemporaneità o di insensibilità per le attuali grazie e per gli incerti favori dell’arte dei nostri tempi.

   Anni fa il mensile parigino “L’Esprit Nouveau” rivolse ai lettori una domanda argutamente formulata: “Bisogna incendiare il Louvre?” Le risposte indicavano che i lettori rispondendo al sondaggio avevano giustamente capito che si trattava di una domanda paradossale, cioè non avevano preso la stessa troppo alla lettera. (Temo che da noi sarebbe successo proprio così). Si trattava in pratica di considerare se, generalmente parlando, le ricchezze accumulate dell’arte antica non soffocassero la giovane arte, non la intimidissero e non la opprimessero sotto il peso della autorevolezza. Cioè: l’antica magnificenza non getta un’ombra oscura in cui l’arte odierna non può svilupparsi, quasi fosse impacciata dalla “sleale concorrenza” degli antichi capolavori salvati e selezionati? Niente di più facile che dare una simbolica bastonata in testa perfino al miglior ritrattista dei nostri giorni, dicendogli che è “lontano mille miglia da Velazquez”.

   Al sondaggio del mensile parigino risposero diverse persone. Alcune dicevano: certamente, bisogna incendiare il Louvre, perché è meglio essere se stessi sia pure con un patrimonio modesto, che sentirsi un tardo nipote che si accolla la problematica eredità dei secoli. Altri dicevano: eppure si può imparare molto dagli antichi maestri. Altri ancora argomentavano: l’incendio del Louvre non servirebbe, si potrebbero anche incendiare tutti i louvre (musei, gallerie) del mondo, ma resterebbero sempre gli antiquari e i collezionisti. Un lettore dimostrò che l’idea di “incendiare il Louvre” aveva già una sua storia, perché ad esempio Luigi XIV si era dimostrato un futurista, quando senza ritegno e senza pietà aveva eliminato l’arte del suo predecessore Luigi XIII; allo stesso modo si comportò Luigi XV nei confronti del XIV, e Luigi XVI: per ciascun Luigi soltanto l’arte del tempo in cui regnava era “vera”, e tale sembrava alla società artistica della sua epoca. Soltanto nel secolo XIX si iniziò a fare un bilancio tra il patrimonio dei secoli e l’arte corrente, forse anche viva, ma senza uno stile e senza una particolare tendenza. Nacque allora il pietismo per il patrimonio dell’antichità e la sua tutela, nacque il museo statale…

   Anche noi conosciamo un po’ questa musica: il vandalismo che scaturisce dalla cieca fiducia nella proprie forze creative. Ricordiamo infatti come Marinetti, fondatore del futurismo italiano, annunciava i suoi programmi massimalistici: incendiare Firenze, Venezia ecc., affinché la nuova Italia non fosse un antiquariato, ma il fiorente giardino della nuova arte. I suoi manifesti del resto erano teorici e peculiari del periodo precedente la I guerra mondiale. Perché l’immergersi nei radicalismi verbali apparteneva a un’epoca senza storia. Come poteva allora irritare gente senza alcun futuro ad esempio…il premio per la migliore poesia in latino!

   Oggi vediamo queste cose un po’ diversamente. Estraniarsi dalla storia? Coltivare il malfamato storicismo? Probabilmente sarà la vita a decidere quanta storia possiamo reggere sulle spalle, e quanta ne occorre. “La vita decide” – ma anche questa è soltanto una formula, un “aureo pensiero”, cui si ricorre quando non si può risolvere una questione. Quindi assumiamo il ruolo di uno spettatore che osserva come la fregata della storia avanza nella corrente della vita, osserviamo il gioco delle onde che ritornano…

   Anatole France nelle sue deliziose Les opinions de M. Jérôme Coignard descrive una divertente scena, quando il vecchio abate, libero pensatore malgrado la sottana, presenta al suo allievo il quadro di un radicale miglioramento del mondo. L’allievo, atterrito dalle visioni delle autorità costituite e degli ordinamenti calpestati, esclama: “Ma sarebbe il caos totale! L’anarchia!” Al che il vecchio abate dopo un attimo di riflessione risponde tranquillamente: “Di tanto in tanto fa bene colpire col piccone un vecchio muro – ciò mette in agitazione i vermi e predispone gli inevitabili declini”.

   Occorre molta cultura storica franceiana, per usare un così sagace linguaggio. Un galante radicale – un fenomeno che rinfresca più del premio per la poesia in latino e di un nuovo lauro per l’abilità in una lingua morta.

   Anche la musica ha i suoi “louvre” – con il suo passato artistico. Felici le epoche, così piene di propria vita artistica, così convinte della esuberanza della propria arte, da poter respingere, dimenticare, disconoscere il passato né proprio né di altri. E fa pensare il fatto che nel campo della musica soltanto il secolo XIX abbia cominciato a praticare a fondo lo storicismo. Questo secolo ha circondato di venerazione i monumenti della musica, li ha protetti nelle pubblicazioni critiche dalla deformazione, li ha risuscitati nella prassi concertistica – è diventato il secolo dei conservatori d’arte e degli archivisti, ciò che del resto non impedì affatto alla maggior parte dei musicisti (soprattutto gli interpreti) di vivere esclusivamente secondo lo stile della loro epoca. Ma…, ma alla fine…

   Oggi ogni musicista intelligente, ogni colto melomane in un modo o nell’altro fa i conti con il cosiddetto retaggio dei secoli. Prendiamo ad esempio Stravinskij: oltre ai Contrappunti di Stockhausen, egli amava gli antichi stili – sia l’opera rinascimentale, che l’opera buffa italiana, nonché la musica dei suoi predecessori russi, ad esempio Čajkovskij…

   Sì ogni musicista intelligente – a Est o a Ovest – ha oggi  generalmente parlando un qualche rapporto con il passato musicale, in esso trova i propri antenati e i propri eletti – e non brucia il Louvre (musicale), le cui raccolte lo interessano, lo appassionano, dalle quali può imparare qualcosa, sapere qualcosa…Del resto non bruciando i louvre musicali, li si può “degradare” a sussidi scientifici, a programmi scolastici. Molti nostri musicisti conoscono i classici solo in quanto “bollati” dalla scuola, dai ricordi scolastici e dalla propria istruzione. E quelli che uscendo dalla scuola non conoscono e non conosceranno mai il passato musicale – o più esattamente la letteratura musicale nel più ampio piano del proprio interesse disinteressato, quelli che non conoscono e non capiscono le grandi opere – possono recitare la parte di “progressisti a buon mercato”! Da molto tempo conosciamo quei giovani iconoclasti che incendiano i louvre con la propria indifferenza, ma sappiamo che essi non rappresentano un pericolo né per la cultura musicale, né per il progresso, di cui restano innocui tifosi.

 

 

(1) Marian Hemar (1901-1972), poeta, satirico, commediografo, drammaturgo, traduttore della poesia e autore di testi di canzoni. (N. d. T.)

(C) by Paolo Statuti



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