Alla seconda volta in cui vediamo passare il capotreno attraverso i vagoni, osservare le cappelliere e, se è presente una borsa o zaino porta computer, chiedere ai passeggeri sottostanti se appartiene a qualcuno di loro, è facile capire il dramma che si sta consumando. Qualcuno è sceso a qualche fermata prima dimenticando sul locale, pardon, suburbano per Lodi il proprio PC. O, peggio, con quello che costa, il Mac portatile. Quindi, realizzata la sciagura, il malcapitato è corso in biglietteria esponendo l’accaduto e implorando una azione rapida ed efficace. Ma a giudicare dall’espressione del capotreno, l’oggetto smarrito ha già cambiato proprietario. Che poi non è detto, magari quel qualcuno si sta già organizzando per rintracciare il pendolare smemorato che, tra poco, si troverà vis a vis con il suo destino.
Il momento in cui ti accorgi di aver perso o dimenticato qualcosa è poco meno doloroso di quando prendi un pugno in faccia, di quelli che ti lasciano attonito qualche secondo prima che inizi il dolore fortissimo, il sangue che ti cola dal naso o dalla bocca e che ti fanno accasciare per terra, talvolta senza sensi. Ti accorgi che manca proprio quella cosa nella mano ancora indolenzita che fino a poco tempo prima la teneva, ora che al posto della borsa stringe solo un po’ d’aria con il formicolio sul palmo. E inizi a fare una lista di tutto quello a cui dovrai rinunciare. Oltre al costo dell’oggetto, il lavoro, magari la tesi di laurea di cui è mesi che non fai un backup, tutte le foto della tua vita che non stampi perché sei un nativo digitale, le mail del fidanzato o un po’ di materiale compromettente, chissà. Non si tratta solo di merce che si è spostata da un individuo a un altro, si tratta di una parte di te a cui non avevi mai pensato come necessaria di un sistema di Disaster Recovery permanente.
E non vi nascondo che trovare un MacBook Pro da 17 pollici sul treno è uno dei miei sogni erotici preferiti. Lo vedo sopra di me incustodito, in una costosa borsa gialla. Mi guardo intorno, non c’è nessuno che possa reclamarlo. Così lo prendo con nonchalance e mi avvio all’uscita cercando il più possibile di soffocare l’emozione. Anche se so già che farei di tutto per restituirlo, e non lo dico solo per farmi bello su un blog, credetemi. Come premio di cotanta onestà, sogno a occhi aperti di trovare una busta piena di banconote da 500 euro, almeno un centinaio, frutto di una transazione illegale, così da poter essere intascata senza sensi di colpa. Non so, il pagamento di una tangente, una partita di droga pagata così sottobanco, la mala che ha retribuito un killer che poi, all’ultimo momento, si è pentito è ha deciso di lasciare lì la sua ricompensa in balìa del caso.
Trovare soldi in un vagone ferroviario mi è capitato solo una volta, con un esito degno di essere raccontato. Una storia che ha protagonista un portafogli contenente poco più di centomila lire. Mi sono affrettato, una volta sceso dal treno, a restituirlo alla Polfer in stazione soldi compresi e, tornato a casa, c’era una multa per divieto di sosta da poco più di centomila lire ad aspettarmi. La redenzione si è manifestata qualche mese dopo, a Natale di quell’anno, quando ricevetti un biglietto di auguri da parte del proprietario del portafogli, in ringraziamento del beau geste. Ho dimenticato sui treni invece molti ombrelli, in tanti anni di distrazione. Anzi, numerosi ombrelli, oggetti di poco valore che miracolosamente diventano invisibili all’uscita della stazione di arrivo, fuori piove e provo ad aprirli ma al posto dell’ombrello c’è il nulla, che protegge decisamente di meno.