Bellezza, rarefazione simbolica e sopravvivenza ai margini della società postmoderna
Un apologo che intreccia le questioni nodali dell’eredità simbolica genitoriale, della bellezza e della tensione umana alla conservazione e alla sopravvivenza, contestualizzate in una contemporaneità che ha visto crollare larga parte delle strutture sociali della modernità e la loro possibilità di mediare con il reale, a fini progressistici e civili.
Al centro dell’universo poetico del film di Alejandro González Iñárritu c’è un padre moribondo che, lacanianamente, si estingue (e capitola) quale Padre e rappresentante simbolico di una Legge e di un ordine sociali oramai avventati e di fatto impraticabili in età postmoderna, fallendo nei suoi tentativi di “mediazione” fra le realtà e i contesti paradigmatici di un mondo globalizzato (gli immigrati cinesi e africani della Barcellona multietnica con cui il protagonista lavora per lo spaccio di vestiti), di una povertà diffusa (la precarietà economica ed esistenziale dei summenzionati migranti senza permesso di soggiorno e del protagonista stesso), del potere residuale ma ancora sensibile dello Stato (la polizia corrotta per chiudere un occhio sul giro di spacci, fino a una tragica e traumatica retata), delle derive dell’istituto familiare (una moglie bipolare che ha contribuito allo sfascio della vita privata del personaggio principale) e dell’egemonia culturale del Capitale (la figura del fratello palazzinaro, che entrerà di petto nella vita sia lavorativa sia matrimoniale del protagonista; il dispositivo economico dello schiavismo e dell’esclusione sociale dell’immigrato).
La morte viene tematizzata dall’autore nelle forme di una rottura simbolica di un reale affluente senza la possibilità di mediazioni razionali da parte del soggetto: sintomatici, a riguardo, l’immagine icastica dei cadaveri alla deriva sulle spiagge della città (le salme degli operai tessili cinesi morti nel dormitorio-lager per un incidente di cui pare corresponsabile anche il protagonista) e il topos di una perdita paterna prematura (ossessione prevalente del protagonista, nato orfano di padre, che, con due figli a carico e una moglie psicologicamente instabile dalla quale si è separato, si scopre improvvisamente avere solo due mesi di vita per un cancro).
Quest’ultimo tema è legato direttamente alla problematica dell’eredità, intesa quale patrimonio di risorse materiali e simboliche funzionali alla formazione e all’educazione dei giovani, trasmesso a questi ultimi dai rispettivi genitori.
La morte annunciata della figura paterna del protagonista e l’eclissi dei suoi eco simbolici e socio-politici sembrerebbero precludere la possibilità di una simile trasmissione trans-generazionale di valori, nel contesto della contemporaneità postmoderna tematizzata dal film.
Purtuttavia, nei momenti immediatamente precedenti al trapasso del personaggio, nel gesto simbolico della consegna del proprio anello paterno alla figlia, il protagonista scoprirà la possibilità di un’eredità simbolica che prescinda completamente della mediazione delle tradizionali strutture sociali e occidentali (famiglia nucleare, e sua funzionalità interna, in primis) nei confronti della realtà.
La consegna dell’anello assurge in questo senso a una vera e propria epifania concettuale.
Segno e significante dell’eredità intesa come bisogno e afflato di protezione in un mondo di rovine piuttosto che come tutela simbolica attualmente concretizzata, il gesto della consegna che unisce padre e figlia nelle sabbie mobili di una realtà non metabolizzabile, rappresenta e incarna anche un simbolo tangibile ed elementare della pulsione di conservazione del soggetto tout court (e della forza irrazionale ed emotiva della sua trasmissione dal genitore morente alla figlia medesima); finendo per delineare così un orizzonte espressivo e simbolico marcatamente soggettivato, formalmente e contenutisticamente “grezzo”, che si pone dunque al di fuori delle sofisticatezze e dei codici dell’ordine tradizionale del linguaggio: una Bellezza (un’estetica?) che restituisce finalmente senso e salvezza al singolo individuo, declinata concettualmente nel testo di Iñárritu per come risuona materialmente quando la si pronuncia (Biutiful), e non più nella complessità e articolazione delle sue varie valenze simboliche e nei suoi valori sociali.
Francesco Di Benedetto