Pellicola che segna il ritorno al thriller action da parte di Michael Mann, Blackhat esibisce un linguaggio, che difficilmente abbraccia una larga fetta di pubblico, e una vicenda che fatica a innalzare il livello di tensione. Difatti in Blackhat, Mann non sembra in grado di gestire a dovere il ritmo filmico, che per farsi palpitante necessita di un importante giro di vite.
C’è un attacco informatico dietro l’inaspettata esplosione di una centrale nucleare a Hong Kong e l’innalzamento di alcuni titoli alla borsa di Chicago. I governi americano e cinese, con una certa riluttanza, devono collaborare e in loro aiuto giungerà un hacker scarcerato per l’occasione.
Mann torna dopo 6 anni dietro la macchina da presa (l’ultimo prodotto era quel biopic su Dillinger, che ne sviscerava principalmente il lato umano, piuttosto che quello criminale) e realizza un film che necessita un’attenzione elevata da parte dello spettatore, non tanto per il complicato intreccio narrativo, ma per il linguaggio che imperversa durante il film. Malware, firewall e proxy sono i termini che caratterizzano Blackhat, che, onde evitare la fuga dello spettatore a causa di troppa tecnologia e codici binari, viene contrappuntato da una storia d’amore e diverse sequenze da “sparatutto”.
Thriller metropolitano che mette a nudo la paura invisibile del cybercriminale, Blackhat si fa riconoscere perché lo stile del regista, che predilige i toni freddi e una macchina da presa che insegue i personaggi, rimane sempre lo stesso: quello del maestro di genere, colui che con mestiere riesce a coinvolgere lo spettatore. Ciò però non accade in Blackhat, un film che non riesce a innalzare la tensione e che si arena troppo frequentemente su pause narrative che rasentano la noia. Sicuramente Blackhat è così costruito per poter assaporare le pause e permettere allo spettatore di ritrovare la bussola e mettere insieme i pezzi del puzzle. Eppure la scelta di Mann non è del tutto condivisibile, perché lontana dall’attuale concetto di thriller, che deve sostenere un ritmo elevato o proporre dei personaggi delineati in modo chiaro e che suscitino il coinvolgimento del pubblico. Purtroppo Mann non si concentra debitamente sui caratteri dei personaggi, tra i quali il protagonista (un hacker che si mette a disposizione dell’FBI per rintracciare il delinquente che ha attaccato una centrale nucleare in Cina e fatto salire le quotazioni della soia in borsa, utilizzando un suo vecchio codice), in cerca di un riscatto personale, è il più a fuoco.
Blackhat ostenta un Mann d’annata, ma non colpisce eccessivamente per sviluppo e intreccio della trama. Un lieto ritorno, ma non così interessante; le aspettative erano altre.
Uscita al cinema: 12 marzo 2015
Voto: **