I Black Anvil nascono dall’unione di ex componenti della leggendaria formazione dei Kill Your Idols, oltre a contemplare membri che suonano in svariati altri gruppi hardcore dell’area newyorkese, come i seminali Cro-Mags.
Una costante che si rinviene durante l’ascolto dell’album, il terzo della formazione dopo Triumvirate, oscuro e votato a un black metal dalle forti reminiscenze scandinave, è rappresentata dalla commistione spontanea di generi differenti, per lo più estremi, all’interno della medesima canzone: si passa infatti con naturalezza dal black all’heavy metal classico, dal death ad andamenti quasi hard rock, dal thrash all’hardcore, fino ad accenni di musica country. La durata generale dei brani è piuttosto lunga e rasenta una media di sette minuti, con più di una digressione verso lidi progressivi. Le note di chitarra acustica dell’iniziale “Still Reborn” si tramutano presto in un riff monumentale, vettore ideale di stati d’animo diversi che si specchiano in sonorità ora quiescenti e sornione, ora veloci e brutali, e si traducono nelle atmosfere epiche di “Redemption Through Blood”, lunga suite ricca di assoli, accelerazioni improvvise e momenti rallentati in stile doom. La sezione ritmica vede una batteria dinamica e fantasiosa, capace di imprimere cambi di tempo inaspettati come nella modulata “Seven Stars Unseen” o fungere da filo conduttore della rocciosa “Eventide”, un inno à la Manowar proveniente però dagli abissi del black metal. La produzione, volutamente sporca e quasi in presa diretta, appare indovinata e per nulla disdicevole, tanto da rendere coinvolgente un disco che tutto può definirsi fuorché unidirezionale. Ne sono prova la cadenzata “Until The End”, accattivante e dal sapore priestiano, e la veloce “My Hate Is Pure”, all’insegna dell’old black metal e che sul finale strizza l’occhio ai Motörhead e alla NWOBHM in generale. Non risulta semplice circoscrivere la proposta artistica del gruppo statunitense, ma se si volesse tentare ad ogni costo una categorizzazione si può affermare che i Black Anvil siano di base un gruppo “raw black metal”, per la scelta del cantato in screaming, la velocità d’esecuzione e le sonorità piuttosto grezze, retaggio diretto hardcore punk, se non fosse per il titolo stesso dell’album che rivendica una forte connotazione death, ripresa a sprazzi anche a livello musicale e soprattutto tematico. Prima della conclusiva e riuscita cover dei Kiss “Under The Rose” in qualità di bonus, la traccia “Next Level Black”, caratterizzata da influssi stoner consistenti, racchiude forse già in se stessa la dichiarazione d’intenti di un gruppo che intende portare il black metal a un livello interpretativo finora inesplorato. Hail Death è dunque un album trasversale e molto vario, con la lezione impartita dagli Slayer che aleggia sempre durante il succedersi serrato dei brani e con una leggera predilezione per i tempi sostenuti e la sfrontata attitudine hardcore, figlia forse delle tensioni e frustrazioni che scaturiscono dalla difficile vita delle metropoli. Consigliato agli amanti dell’heavy metal inteso nella sua globalità.
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