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L’unica cosa stonata della serata è la durata dello show, solo un’ora e mezza per i Black Crowes, una delle band che ha fatto delle jam la propria cifra stilistica e quindi abituata a ben altri tempi. C’era gente che era venuta da Brescia, da Portogruaro, dalla Toscana e dalle Marche sobbarcandosi km e soldi non per vedere il pur bravo Paolo Bonfanti che apre la serata alle 20.45 ma per vedere i Black Crowes che bisogna aspettarli fino alle 22.30 ben sapendo che a mezzanotte si chiuderanno i battenti.
Detto questo lo show dei Black Crowes è stato assolutamente grandioso, una esaltante definizione di rock n’roll quintessenziale con urla, assoli di chitarra, intro di pianoforte, basso che pulsa come un ossesso, lo strepitoso drumming di Steve Gorman, le fiondate R&B e le ballate che si involano nel cosmo con i suoni che si dilatano e ti accompagnano su altri pianeti senza bisogno di un ticket a base di stupefacenti. Pur nella sua brevità e nella quasi assoluta mancanza di brani del repertorio recente quello di Vigevano, prima tappa europea del Say Goodbye to the Bad Guys Tour è stato un doppio concentrato di eccitazione, energia, note sanguinolenti, intensità, urgenza espressiva come poche volte capita di assistere oggi. Magari negli anni settanta queste cose erano all’ordine del giorno, oggi sono una rarità e nessuno meglio dei Black Crowes interpreta il rock come allora, in modo selvaggio, viscerale e trasgressivo, intendendo per trasgressione non il gesto ad effetto, iconoclasta o blasfemo qualsivoglia ma il trasgredire le regole estetiche della musica mainstream che va di moda oggi ovvero poche luci sul palco, nessun fronzolo, solo sei musicisti abbigliati come il loro pubblico con jeans, t-shirt e camice da lavoro ma in grado con le loro voci e i loro strumenti di creare un pathos sonoro ed una febbre emotiva che sono un assalto ai sensi e al cuore dello spettatore che di botto viene spedito direttamente nel nirvana del vero sentire.
Con Luther Dickinson al posto di Marc Ford i Black Crowes hanno mutato il sound ma sono rimasti la più straordinaria rock n’roll band della terra da quando i Rolling Stones se ne sono andati da Nellcote. Li ho visti negli anni novanta con Marc Ford ed erano stati concerti memorabili (Basilea nel 95 come supporter degli Stones e poi Palasesto e Palavobis), li ho visti (deludenti) ai Magazzini Generali al tempo dell’incerto By Your Side ma con Luther è un’altra cosa, né meglio né peggio, solo diversi perché il suono, almeno quello che si è sentito la sera del 7 luglio a Vigevano, si è fatto più aggressivo, più diretto, più memphisiano sebbene Stones e Faces siano sempre dietro le note e quando la jam monta i Dead strizzano l’occhiolino. Luther Dickinson e Rich Robinson si dividono le chitarre e anche se Rich si è infilato in alcuni assoli di grande efficacia è proprio Luther che fa il gioco sporco, che alza il tiro, che alimenta la jam, che spinge in avanti la band in quella che in certi momenti, quando i brani si allungano e abbracciano il cosmo sembra una felice e feroce connessione tra Allman e Dead. In questi frangenti è Chris Robinson con la sua voce da disperato profeta del rock n’roll ad accendere le polveri, canta, balla, urla, poi si ritrae e lascia il campo ai due chitarristi, li guarda passarsi la palla in un devastante gioco al rimando che porta i Crowes nei meandri di un rock psichedelico che è delizia per chi scrive e immaginazione per la mente.
Davanti al pubblico ruvido che il rock n’roll si merita, freaks, bikers e rockers di tutte le età, le lunghe e jammate versioni di Wiser Time aperta alla grande dall’assolo di piano elettrico di Adam McDougal poi sviluppatasi come una formidabile jam di psycho soul/blues, di Poor Eliiah/ Tribute to Johnson omaggio alla carovana di Delaney and Bonnie con Chris Robinson che imbraccia la chitarra e fenderizza come il Clapton di quel tour e di Thorn In My Pride inizio lento e dondolante con Chris Robinson che predica la sua profana omelia rock/blues poi trasformatasi in una selvaggia danza con l’armonica che impazza sull’eco di Midnight Rambler hanno sparso nella magica notte blue del suggestivo Parco del Castello di Vigevano, finalmente una location degna di un evento musicale, le vibrazioni sante del grande rock che fa storia.
Ci voleva gente che viene dal sud degli Stati Uniti, dal triangolo d’oro del rock, del blues e del soul per risvegliare emozioni che parevano estinte. Ci voleva un cantante, Chris Robinson, che sembra Robinson Crusoe ma canta come Rod Stewart e si muove scodinzolando come lo Jagger dell’American Tour del ’72 incitando la folla e la band in un rito sciamanico che si apre con le fucilate di Sting Me e Jealous Again e si chiude con le frustate di Remedy altro lascito del loro antico repertorio a delinquere. In mezzo c’è una folgorante Soul Singing, la commovente invocazione di She Talks To Angels dove i Crowes si ricordano delle ballate, l’urlo memphisiano di Hard To Handle e due tracce del repertorio più recente, il vago country-soul di Good Morning Captain ripresa da Before The Frost e la melodica Oh Josephine da Warpaint.
Undici tracce in tutto per 90 minuti di musica, troppo poco per chi ha aspettato dieci anni per rivederli ma sufficienti per sentire di che musica è fatto il paradiso.
MAURO ZAMBELLINI LUGLIO 2011
fotografia di Renato Cifarelli ©
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