…with Abyssinian aftertaste
Festa della musica in tutta Europa, e a Liège la scena serale di sabato 21 è stata illuminata dall’intrigante performance dei Black Flower, che con il loro afro jazz di ispirazione etiope hanno debitamente spompato le casse del palco di Place des Carmes, lasciando più volte stupefatti gli ascoltatori. I quali si sono presto in parte trasformati in ballerini, visto che la musica– c’è proprio da dirlo – lo imponeva.
Abyssinian Afterlife by Black Flower, 2014
Gruppo di cinque – Nathan Daems ai sax (contralto, tenore e baritono) e flauti, Jon Birdsong alla tromba, Simon Segers alla batteria, Filip Vandebril al basso e Wouter Haest alle tastiere – portano in concerto una musica sospesa tra il free jazz di ispirazione più classica e un funk afroamericano denso di beat e groove, il tutto soffuso di un torpore melancolico medio-orientale. Nonostante nell’incisione dell’album d’esordio con cui si presentano dal vivo, Abyssinian Afterlife, alcune delle tracce presentino delle frasi di chitarra elettrica, si esibiscono dal vivo omettendola, e non ne sentiamo affatto la mancanza, per quanto possa sembrare strano a dirsi (e forse anche a sentirsi!). Pubblicati da Zephyrus Music e De W.E.R.F., i Black Flower sono al momento tra le più interessanti esperienze musicale della scena di Gand – o Gent, o ancora Ghent, a seconda della lingua che si sceglie.
Il loro sound è potente e pieno, la sezione ritmica di basso e batteria continua e costantemente in upbeat. È su questo tappeto che i fiati di Dames e Birdsong delineano i temi e le melodie dissonanti e quasi dialogate, mentre con i suoi due Clavinet Haest si muove fluidamente dal sostenere il groove della sezione ritmica, al prorompere in assoli fulminanti pieni allo stesso tempo di delirio e struttura, passando per delle sottolineature geniali delle frasi dei fiati.
Di certo non si può dire che i Black Flower non si siano esibiti da musicisti eccellenti ed esuberanti. A parte che a volte sembravano forse aderire con eccessiva coerenza alle partiture dei brani di riferimento, a tratti abortendo l’impeto dell’improvvisazione incipiente e travolgente per ricondursi diligentemente alla cornice melodica del pezzo, guidandolo verso una conclusione pulita e definita – staged, in un certo senso. Non sempre, sia chiaro: a volte.
Ma a parte questo molte buone speranze. Vorremmo di sicuro vederli in Italia presto.
Black Flower – Jungle desert (from Abyssinia Afterlife)