Cromatica
Quando l'Inghilterrà uscì dai rigori color fumo di Londra del secondo dopoguerra cambiò stile: allungò i capelli dei ragazzi, accorciò le gonne delle ragazze, sostituì le canzonette perbene d'una volta con la rivoluzione musicale dei Beatles e i colori vieux rose delle tappezzerie con l'arancione ed il violetto delle plastiche. Erano gli anni di Yellow Submarine. Quando l'Italia stava per entrare nella Prima Guerra Mondiale, invece, si vestì di plumbeo e successivamente mise la camicia nera. L'Italia degli anni Cinquanta si risvegliò al colore con allegria, per dimenticarlo poi con i nuovi anni di piombo. E poi gli anni Ottanta cambiarono ancora una volta cromatismo per scoprire i pastelli del postmoderno. Oggi il diavolo veste Prada, in nero ovviamente, il che consente di confondere in discoteca il nipponico e l'australiano. Il colore forse è vita ma sicuramente la vita, quella in corso nella storia della società, determina il colore. Con regolarità ciclica i maschi si son vestiti di nero: ogni qualvolta hanno deciso una orte unificazione dei nuclei sociali. Così fecero i puritani inglesi di Cromwell nella loro conclamata frugalità, così fecero i loro parenti olandesi, borghesi e come tali esaltatori del lusso in nero che era nelle vesti identico a quello policromo della corte del Re Sole. Così fece quasi tutta la borghesia d'Europa quando si mise in frac nell'Ottocento in quanto alla nuova classe vincente non si potevano consentire fantasie coloriste delle vesti nobiliari del Settecento, secolo misterioso ed inquietante durante il quale l'aristocrazia francese e britannica era sgargiantissima mentre già a Venezia tutto era ton sur ton come nelle musiche di Vivaldi. Allora solo alcuni pittori intuivano la mutazione che da lì a poco avrebbero imposto la ghigliottina. Füssli, Blake e Magnasco sentivano l'atmosfera angosciante che stava crescendo, forse la percepiva anche il morbido Watteau. All'opposto Parigi all'inizio del XX secolo, San Pietroburgo e per un poco anche Roma, stavano annusando aria nuova in un clima di borghesie liberali che stavano affondando. E' lì che si trovano le ragioni delle esaltazioni cromatiche di Debussy e di Toulose-Lautre, la corsa successiva per il "fauvisme" e al contempo le esaltazioni plastico dinamiche dei primi futuristi. Qualcosa di grave stava per succedere: si trattava di reagire a troppi uomini in frac. Oggi anche le signore si vestono in nero. Fra poco potrebbe scoppiare la rivoluzione, quella d'un nuovo colore, almeno.
- Philippe Dverio, da "Art e Dossier", n°263 febbraio 2010
Ho voluto accompagnare questo testo tratto da Art e Dossier di Philippe Daverio con le foto delle proposte autunno/inverno 2013 di H&M e Zara (chi le distingue è bravo) perché mi sembra una bella lettura dell'uso del colore nelle varie epoche e la sua ciclicità. Nonostante sia un pezzo del 2010, l'augurio finale che prima o poi torni il colore, perché coinciderebbe con un periodo di ripresa, sicuramente al momento non è né ascoltato dalla storia né dalla moda. Sfogliando i cataloghi di moda e le riviste i colori cupi sono la tendenza e ciò che non può mancare nel nostro armadio è il nero. Non che io mi trovi male, anche se negli ultimi mesi sto cercando di introdurre del colore nel mio vestiario e di costringermi di tanto in tanto a comprare cose che non comprerei, a sorta di terapia contro la mia quotidiana divisa. Però se l'alternativa devono essere improponibili fantasie psichedeliche o colori evidenziatore torno alla formalità della mia scala di nero e jeans.
A PrestoM.M.