
"Poiché, insomma, che cos’è l’uomo nella natura? Un niente rispetto all’infinito, un tutto rispetto al niente, un punto che sta in mezzo tra il tutto e il niente. Infinitamente lontano dal comprendere questi due estremi, la fine e il principio delle cose che gli sono invincibilmente celati in un segreto impenetrabile; ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito che lo inghiotte. ... Questa è la nostra reale condizione: quella che ci rende incapaci tanto di sapere con certezza quanto di ignorare in modo assoluto. Navighiamo in un’immensità, sempre incerti e fluttuanti, sospinti da un estremo all’altro. Ogni appiglio a cui pensiamo di attaccarci ci abbandona e, se lo seguiamo, si sottrae alle nostre mani, scivola via, fugge un’eterna fuga. Niente per noi è stabile, è la nostra condizione naturale, e tuttavia la più contraria alla nostra inclinazione; noi ardiamo dal desiderio di trovare un assetto stabile e una definitiva base solida per costruirvi una torre che s’innalzi all’infinito, ma tutte le nostre fondamenta scricchiolano, e la terra si spalanca fin negli abissi".