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Blanca Busquets: “Un romanzo è come una scatola di cioccolatini”

Creato il 15 settembre 2013 da Leultime20 @patrizialadaga

Busquets primo pianoIl romanzo della catalana Blanca Busquets, L’ultima neve di primavera, pubblicato da Piemme è stato protagonista nel mese di luglio della rubrica 2VociX1Libro che curo con Giuditta Casale di Tempoxmelibri. Una lettura che entrambe abbiamo molto apprezzato e che ha generato il desiderio di conoscere l’autrice per conoscerla più a fondo e parlare del suo romanzo.

Sebbene io risieda a Barcellona, città in cui Busquets vive e lavora (oltre a scrivere romanzi è giornalista e conduce un noto programma radiofonico), l’incontro è avvenuto a Torino in occasione del Salone del Libro dello scorso maggio. Con me, per un’intervista “incrociata”, avrebbe dovuto esserci anche Giuditta, ma cause di forza maggiore hanno impedito che partecipasse all’evento, perciò le sue domande sono state trasmesse per procura e hanno generato il post che state leggendo.

Nonostante le condizioni poco ideali per una chiacchierata tranquilla, visto l’affollamento e il rumore che regnava nello stand, Blanca Busquets,  che ha al suo attivo sei romanzi (l’ultimo, La casa del silenzio, uscito da pochi mesi in Spagna e non ancora tradotto in Italiano) mi ha raccontato la genesi dell’Ultima neve di primavera e mi ha parlato della sua vita divisa tra radio e scrittura. Ne è uscito il ritratto di una donna con le idee chiare e la penna disinvolta.

Da dove viene la storia?

Viene da molte cose che volevo dire ma che all’inizio non sapevo bene come riunire in un’unica storia. Dico sempre che un romanzo è come una scatola di cioccolatini che vuoi regalare. La trama, cioè la scatola, è il romanzo in sé, ma quello che vuoi davvero comunicare sono i cioccolatini. Nel mio caso volevo dimostrare che in epoche distinte alcune situazioni sono ugualmente dolorose e che questi momenti difficili si possono superare contando su se stessi, senza attendersi un aiuto esterno. La forza si trova cercando dentro di noi. Mi interessava anche parlare della Catalogna isolata dell’inizio del XX secolo, una terra lontana dalla Barcellona di Gaudí e delle luci che chiamavano la “Parigi del Sud”. L’ho fatto cambiando i toponimi, ma ispirandomi al paese di mia madre, Cantonigròs, che io adoro.

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Che cosa c’è di te in Lali e Tonia, le due protagoniste?

Volevo parlare di un personaggio dell’epoca passata ma volevo anche una voce che facesse  da contrappunto moderno. Così, ho avuto l’idea del parallelismo di due donne accomunate da una vita tormentata ma in due epoche diverse. A Lali ho attribuito un problema che era stato mio da bambina: il bullying da parte di una compagna di scuola che ho sofferto sulla mia pelle e ho spiegato in un capitolo.

Un romanzo come L’ultima neve di primavera avrà richiesto un grande lavoro di documentazione. Come ti sei organizzata?

Il punto di partenza sono state le mie zie. Loro mi hanno raccontato moltissime cose e anche mia madre mi ha mostrato vecchi documenti che conservava. In un archivio parrocchiale (ne sono rimasti pochi nei paesi perché molti sono andati perduti in guerra) ho scoperto vari certificati di morte di neonati dell’inizio del secolo XX, molti dei quali avevano come causa del decesso un generico “mal di pancia”. In realtà si trattava di morti dovute alla trascuratezza delle balie. Ho trovato anche libri in cui medici illuminati raccontavano ciò che accadeva in questi paesi isolati, in cui non c’era modo di convincere le famiglie che era la madre che doveva allattare al seno i neonati e non darli alle balie, che spesso non se ne occupavano.

Le due figure maschili,  Miquel e Jordi, i pittori, dipingono cose astratte e solo Toni e Lali riescono a vedere quello che loro vogliono trasmettere. È capitato anche a te?

No, in realtà io sono una di quelle che quando va a vedere un museo di pittura astratta e vede gente che davanti a un quadro dice: “Questo è…”, “Questo significa…”, resto senza parole perché io non riesco a vedere proprio nulla! Ho voluto fare un omaggio a quelli che sanno vederci qualcosa e, naturalmente, ho aggiunto un po’ di magia.

Victor Català, pseudonimo della scrittrice catalana Caterina Albert, ha un ruolo importante nel romanzo. Come mai ha scelto di parlare di lei?

Fu l’unica scrittrice che seppe portare alla luce i problemi personali e psicologici delle donne nella Catalogna rurale di quell’epoca. Io l’avevo già apprezzata, oltre al suo Solitud, avevo letto il monologo La infanticida (il libro che aveva creato scandalo e per il quale la scrittrice scelse di continuare a scrivere usando uno pseudonimo maschile, nda), così ho deciso di omaggiarla citandola nel romanzo.

Busquets+La Daga
Come ti sei organizzata per scrivere il romanzo, dato che si sviluppa in due epoche diverse ma con eventi paralleli?

Prima ho dovuto scrivere tutta la storia di Tonia, che si svolge nel passato. Solo così potevo sapere che cosa sarebbe accaduto a Lali nel presente.

Quanto ci hai messo a scriverlo?

La fase di scrittura vera e propria è durata tre mesi. Prima pero ci ho pensato molto…

Dove scrivi?

Dove posso.

Fuori dalla tua terra, quali sono gli scrittori che preferisci?

I classici di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Se sono passati alla storia c’è un motivo e credo che tutti abbiano molto da insegnare. Se devo sceglierne qualcuno direi Proust, García Lorca e Oscar Wilde.

C’è un autore italiano che ti piace?

Ho letto da poco Erri De Luca e mi è piaciuto.

In Spagna è da poco uscito La casa del silenzio, il tuo ultimo romanzo. I protagonisti sono di nuovo donne. Ti trovi più a tuo agio scrivendo del genere femminile?

È vero che anche ne La casa del silenzio ci sono più donne protagoniste, ma è un caso. A me piace molto mettermi nei panni di un uomo e cercare di capire come vede le donne e l’ho fatto spesso.

Tu lavori da molti anni in radio. Se fossi obbligata a scegliere tra il giornalismo radiofonico e la scrittura che cosa sceglieresti?

Senza dubbio la scrittura, anche se la radio mi piace molto.

Che cosa fai quando non scrivi?

A parte lavorare sette ore al giorno in radio, faccio sport, corro e nuoto soprattutto, e poi studio. Devo terminare il corso di laurea in filologia catalana e studio anche inglese.

Il complimento più bello che hai ricevuto?

Sul libro o su di me come scrittrice?

Entrambe le cose

Come scrittrice mi è piaciuto quando mi hanno detto che il mio stile somiglia a quello di Mercé Rodoreda (scrittrice catalana 1908-1983, nda). Credo sia una bugia, ma mi è piaciuta! Sul libro, invece, mi ha fatto piacere che abbiano detto che insegna a godere della vita, ad approfittare di ogni suo momento.

C’è qualche critica che ti ha infastidito?

Io credo che i critici facciano il loro lavoro e che se parlano bene di te è fantastico e se, invece, parlano male ti fanno passare due ore di cattivo umore a rimuginare, ma alla fine va bene lo stesso. Idem per i lettori. Se ho deluso qualcuno, mi spiace ma non mi preoccupo, perché io scrivo per il piacere di scrivere, perché per me la scrittura è innanzitutto una terapia.

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