Le premesse non erano delle migliori: un’altra versione di Biancaneve, un altro film muto sulla scia di The Artist. Invece Blancanieves non solo non è una fotocopia, non solo evita le trappole del formalismo e della leziosaggine, ma (soprattutto nella seconda parte) diventa ottimo esempio di cinema iberico-fantastico, con incursioni in Buñuel, Fellini, Ted Browning. Voto 7 e mezzo
Il pover’uomo – solo, tetraplegico, con neonata a carico – si lascia circuire dall’infermiera Encarna; la sposerà, la manterrà come una regina nella sua magione, mentre la bimba cresce lontana. Quando anni dopo Carmen, l’infanta, arriverà in villa, la matrigna-strega la tratterà come una schiava. Seguono angherie e sofferenze inenarrabili. Diventata grande e bella, la povera Carmen rischia di morire dopo un tentativo di stupro: a salvarla è una compagnia di nani-toreri che col loro carrozzone girano la provincia e che la adotteranno e le daranno il nome di Biancaneve. Da qusto momento il film decolla, si libera dale strettoie del formalismo e del carinismo e si inoltra con decisione nel territorio del fantastico e del mitologico. Quella dei nani-matador è una bellissima trovata narrativa, le scene delle loro buffe corride, delle loro parodie nelle piazze di poveri paesi sono un incanto, semplicemente. Biancaneve coltiverà, grazie a quei nuovi amici che l’adorano, la sua vocazione di torera, e ben presto diventerà una leggenda come il padre. Potete immaginare gli sviluppi e anche il finale, se appena vi ricordate la favola dei fratelli Grimm. Il rischio di un film muto oggi – come abbiamo visto in The Artist – è quello del manierismo, del decorativismo, della leziosaggine, dell’operina tutta esteriore, dell’esercizio di stile bastevole a se stesso. Il rischio del film tè e pasticcini per signore bon ton. Ma Pablo Berger evita abilmente la trappola, riusa la storia di Biancaneve per citare filologicamente certo melodramma del cinema pre-sonoro (ricalco evidente soprattutto nel personaggio della governante Angela Molina), soprattutto incrocia certi surrealismi alla Buñuel e alla Dalí, certo cinema freak-circense alla Ted Browning oltre che, naturalmente, Fellini, alla mitologia così profondamente spagnola della corrida e dei matador, del sangue e dell’arena. Il percorso di Carmen/Biancaneve è quella di un’eroina, anzi di una santa e di una martire, e le scene della gente che porta in processione il suo corpo è quanto di più intenso, e intensamente iberico, ci abbia dato il cinema spagnolo negli ultimi anni. A Berger riesce quello che non è riuscito ad Alex De La Iglesia in Ballata dell’odio e dell’amore. Senza clangore, senza fanfare, senza gli eccessi di De La Iglesia, il regista di Blancanieves realizza un film notevole, e almeno una scena, l’ultima, grandissima.
BLANCANIEVES, dalla Spagna un film muto alla The Artist, però meglio
Creato il 28 ottobre 2013 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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