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Fa riflettere a fondo notare quanto il "Blancanieves" spagnolo di Pablo Berger valga da solo molto più dei due adattamenti Hollywoodiani usciti qualche anno fa messi assieme.
In comune le tre pellicole oltre alla rivisitazione in chiave moderna della fiaba scritta dai fratelli Grimm non hanno nulla, per cui il paragone forse resta anche un pochino azzardato e leggermente fuori luogo. Eppure Berger col suo esperimento rivolta come un calzino la motivazione, precedentemente a noi ignota, del perché sia necessario andare a toccare un classico della letteratura per poi sporcarlo con idee e tocchi estetici che nella maggior parte dei casi si rivelano essere dei tentativi unicamente fallimentari e irrispettosi. A far la differenza per "Blancanieves" probabilmente allora è proprio l'industria cinematografica d'appartenenza, il cinema spagnolo infatti non avendo chiaramente gli stessi fondi finanziari Hollywoodiani da cui attingere, risponde agli investimenti agevolando progetti in cui crede davvero e che vale la pena portare alla luce.
Nonostante ciò è costata grossa fatica a Berger realizzare il suo piccolo capolavoro: una Biancaneve liberamente aggiornata e collocata agli anni venti, con tanto di muto, bianco e nero e 4:3 al seguito. L'assenza di audio e colore tuttavia non impedisce minimamente a "Blancanieves" di andare a trattare questioni attuali, riprendere i punti cardini della fiaba a cui fa riferimento e vedere come questi potrebbero mutare se affrontati nell'epoca moderna. Lo specchio delle mie brame diventa così una rivista di gossip che in base al numero della pagina in cui posiziona gli articoli stabilisce o meno la celebrità di qualcuno, la regina cattiva è rappresentata da un infermiera arrivista che approfitta della disgrazia di un famoso torero per arricchirsi e Biancaneve è la figlia sfortunata di quel torero, rimasta orfana di madre alla nascita e costretta, dopo la morte della nonna, ad andare a vivere la sua adolescenza come schiava della matrigna di cui sopra, diventata padrona della dimora e dell'eredità del padre.
Quella di Berger, di conseguenza, oltre a risultare un opera di pregevole fattura, armoniosa e curata, attraverso il sottile velo di surrealismo alla base, da l'impressione di volersi far carico altresì di una denuncia da dedicare tutta all'alterazione di un'umanità - oggi - profondamente egoista, lacerata dal successo e drogata da un intrattenimento perfido e dannoso nei confronti di chi lo esercita e di chi lo consuma. Di speranza ne avanza poca, e quella che si vede viene rappresentata con luce fioca e salute corta abbastanza da richiedere coraggio e impegno affinché ci si mobiliti per salvaguardarla e curarla.
Minuscoli frammenti di poesia e verità sufficientemente potenti da restituire voce al muto e colore laddove a dominare era prevalentemente una scala di grigi.
Trailer:
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