Blatta, l’ incubo oscuro ed ermetico di Ponticelli

Creato il 19 giugno 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Mantenere un certo distacco nei confronti di Blatta, al fine di proporre una visione quanto più oggettiva possibile, è certamente un esercizio difficile, causa la struttura oscura ed ermetica dell’albo. L’oscurità  è la caratteristica predominante dell’intero impianto artistico, dove il bianco e il nero sono sufficienti a descrivere tutte le sfumature dell’animo umano. L’ermetismo è invece tutto nella narrazione, dove la difficoltà dell’interpretazione non è ristretta alle scene proposte, quanto più al loro sfondo.

Incubo

La storia offerta da Alberto Ponticelli assume così i toni di un incubo vissuto a occhi aperti. In un futuro non ben definito, il genere umano ha ceduto alle proprie paure e al proprio edonismo, rinunciando al libero arbitrio per abbracciare il concetto d’immortalità indotta tramite clonazione, una sorta di scambio equivalente che pone come contraltare l’abbandono del naturale processo riproduttivo, unitamente a ogni altra interazione sociale; rinchiudendosi all’interno di apparati industriali che fanno le veci di vere e proprie prigioni. Un panorama tanto semplice quanto inquietante, che espone con estremo pessimismo la bassezza raggiungibile dall’uomo in cambio di certezze, come la vita eterna.

Da tali premesse, è facile accettare un protagonista senza volto né nome, rappresentato dalla sua tuta da palombaro con tanto di scafandro, un’ulteriore prigione a livello cutaneo che gli impedisce di contaminarsi con il claustrofobico giaciglio in cui vive, una stanza buia – più simile a un’angusta cabina – dotata dell’essenziale per vivere e un computer.
Quest’ultimo funge da finestra fittizia su un mondo digitale intangibile, il solo elemento di svago in un’esistenza fatta di silenzi, dove l’unica cosa che conta è l’attività lavorativa. Una condizione pressoché statica e senza possibilità di eccezioni, in cui il protagonista è costretto a riflettere sulle sue vite passate.
Riflessioni somiglianti più a fugaci sprazzi di memoria, manifestazioni di un passato remoto in cui si scorgono momenti felici; un’esistenza normale, composta di affetti e persone, piccoli barlumi di emozioni e sentimenti ormai sopiti. E anche quando il caso pone il palombaro di fronte alla realtà esterna, il suo comportamento è quello di un naufrago in un mondo alieno, desideroso di tornare alla propria quotidianità, nella sua prigione fatta di sole certezze.

Tale condizione può essere vista come una macabra proiezione della società capitalista odierna, sempre più sedentaria e rinchiusa in un universo a se stante, fatto d’input elettronici piuttosto che veri contatti umani. Dove l’unica divinità osannata è il guadagno, e la grande capacità d’interconnessione raggiunta si scontra con un’infinita solitudine interiore.

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Nonostante l’edizione RW Lineachiara non sia la prima apparizione del titolo, edito precedentemente dalla Leopoldo Bloom – e già trattata sulle nostre pagine dal buon Luigi Siviero nella sua recensione –, chi sta alla tastiera preferisce non aggiungere altro nell’esposizione della trama, in modo da lasciare al lettore il gusto della scoperta e una libera interpretazione per il susseguirsi degli eventi. Questo perché anche considerando il tempo trascorso dalla prima edizione, il lavoro di Ponticelli rimane tutt’oggi un prodotto di altissima qualità, capace di assumere contorni e significati differenti secondo l’emotività di chi legge.

Questione di prospettive

Vista la profondità del titolo, è interessante analizzare i vari parallelismi cui il volume si presta, ovviamente senza formulare ipotesi di reali contaminazioni d’idee o spunti d’ispirazione.
Partendo dal totalitarismo che regola la non-vita del palombaro, si potrebbe associare tale condizione a quella descritta nella trilogia di Matrix (1999) dove le macchine hanno ormai preso il pieno controllo e sfruttano gli uomini come batterie viventi, coltivandoli in una sorta di alveari tecnologici.
Allo stesso modo, la complessa struttura in cui vive il palombaro funziona attraverso dei meccanismi automatizzati e gestiti da un generico “sistema”, rendendo il nostro protagonista un singolo ingranaggio di un organismo molto più complesso, lungi dalla sua comprensione. Altra similitudine, è data dal fatto che il palombaro non ricorda come tutto ebbe inizio, proprio come nella prima pellicola della trilogia i protagonisti discutono sulle cause del declino dell’uomo, senza ricordarne le reali motivazioni.

Un successivo accostamento può essere fatto con il – meno noto – cortometraggio di animazione giapponese PaleCocoon (2006), dove l’umanità vive rinchiusa in agglomerati sotterranei in cui la luce del sole e il mondo esterno fanno parte del passato. La pellicola di Yasuhiro Yoshiura – non distribuita in Italia –  trova accostamenti col titolo di Ponticelli tanto nelle sue atmosfere cupe e claustrofobiche, quanto nella frammentazione dei ricordi. Infatti, il protagonista del corto è alla continua ricerca di informazioni che descrivono la Terra prima che l’umanità ne perdesse la memoria, frame d’immagini e registrazioni-video di un mondo ormai alieno. Proprio come il palombaro mantiene nel suo subconscio le reminiscenze di una vita lontana.

Horror atipico

Attribuire un genere a Blatta è invece molto semplice.
Il titolo si pone come un horror atipico e ben lontano dai canoni del genere, mantenendone tuttavia le atmosfere e la ricerca della tensione pagina dopo pagina, coadiuvato da un ottimo impianto artistico che porta il lettore a immedesimarsi oltre ogni più rosea previsione.

I toni cupi e le situazioni potrebbero portare alla mente dei più navigati alcune analogie con il primo capitolo di Dead Space (2008), videogioco di EA (Electronic Arts) dall’ambientazione horror-fantascientifica simile alla serie Alien (1979).
Spazi angusti e illuminazione minimale ne costituiscono dunque i punti focali, con una costruzione delle tavole libera da qualsiasi schema, e un’ottima gestione tanto dei momenti di tensione quanto quelli più riflessivi, con una progressiva crescita proprio sulle battute finali.

Chiudono il cerchio prospettive isometriche e primi piani azzeccati, dove sceneggiatura e disegno si fondono in maniera indissolubile, facendo delle scene mute la prassi di una narrazione che gioca di sensazioni impalpabili; particolari anche le scelte tanto delle matite tremolanti quanto delle chine sottili.

Replay

Se ancora non fosse chiaro, Blatta è un prodotto di altissima qualità, tanto sul fronte grafico quanto su quello narrativo. Un racconto che gioca di ambienti cupi e venature horror, capace di catturare il lettore e proiettarlo in un mondo fatto d’incubi e riflessioni non banali sulle debolezze umane.
La caratteristica discriminante della produzione è il suo assoluto ermetismo. Un lavoro del genere che gioca per estremi, farà la gioia di chi è alla ricerca di letture non convenzionali, allontanando invece chiunque prediliga racconti meno impegnati e molto più classici.

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La valigetta

Nella trattazione del volume, non si può non citare la valigetta.
Questo elemento è proposto più volte durante la lettura, per poi diventare il punto focale dell’epilogo. La sua reale funzione è semplicemente accennata nelle battute iniziali e presta il fianco a libere interpretazioni, senza un’imposizione precisa dell’autore.
Per quanto la scelta di creare un limbo di possibilità al finale possa essere discutibile, allo stesso tempo questo escamotage narrativo dona maggiore profondità al racconto globale, aumentandone l’oscuro fascino

Abbiamo parlato di:
Blatta
Alberto Ponticelli
RW Lineachiara, Maggio 2014
154 pagine, brossurato, bianco e nero – 19,95€
ISBN: 9788897965398


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