Dal 1966 al 1973 (più o meno) Stephen King pubblicò decine di racconti sulle riviste di genere americane.
Nel frattempo con lo pseudonimo di Richard Bachman si dedicava a scrivere quei romanzi che King non poteva permettersi.
Il gioco durò fino a quando venne scoperto e dice la leggenda che se fosse durato ancora un po’ il successivo romanzo firmato da Bachman sarebbe stato It.
Così a Bachman rimasero anche alcuni romanzi nel cassetto.
Negli ultimi anni Stephen King ha deciso di riesumarne uno che risponde al titolo di Blaze.
Soltanto che Blaze non ha in se niente di quello che è il carattere distintivo dei romanzi di Bachman, tolto probabilmente la mancata happy end (questa si tipica del vecchio Rick).
Sembra piuttosto un buon romanzo di Stephen King, uno degli ultimi però, uno di quelli scritti bene, con una storia che cattura, ma privi di qualunque particolare che sia in grado di farti sobbalzare quando giri la pagina.
Blaze è un gigante ritardato.
Da bambino il padre ubriaco l’ha buttato un paio di volte giù da una scala mandandolo in coma. Al risveglio la sua mente non è più lucida e la sua fronte ha un’indelebile ammaccatura “nella quale si potrebbe posare una tazzina da caffè”.
Così Blaze trascorre la sua vita da ragazzo in una casa per orfani dove ha un solo amico e quella da adulto passando dal carcere al quotidiano di piccoli furti.
Lui però è felice e vicino al suo amico (non quello del riformatorio, un altro) George si sente invincibile.
E proprio con George architetta il colpo definitivo: il rapimento di un neonato.
Il romanzo comincia in realtà a questo punto della vita di Blaze, con l’omone pronto per il rapimento e pendente dalle labbra sagge di George che gli indica ogni passo.
Non fosse che George è morto tre mesi prima.
Blaze è scritto bene, come tutti i libri di King, ed è raccontato con un espediente classico ma funzionale.
La vicenda attuale è alternata con la storia del protagonista praticamente dalla nascita fino al momento in cui le due vicende si ricongiungono (mi sono spiegato?).
Però niente horror, poco thriller, niente sorprese o epifanie.
Semplicemente una bella storia che cattura e ci porta inevitabilmente a parteggiare per il buon gigante, che in tutti i modi ha provato a ribellarsi alla vita che fin da bambino era prevista per lui… senza, drammaticamente, mai riuscirci.
Non basta la trovata di far sentire costantemente alla mente di Blaze la voce e i consigli dell’amico morto per dargli quel tono sovrannaturale che all’inizio sembra far parte del romanzo.
Per rimpolpare il volume al fondo compare anche il racconto Memoria, che come tutti i racconti di King è una rasoiata senza pietà che non lascia speranza nè futuro.