Per nulla rassegnati ad una tendenza decadentistica tutta italiana che privilegia il calcio ed il gossip in luogo della cultura e delle nozioni scientifiche, un manipolo di audaci volontari della tastiera divulgativa da anni cercano di infiltrarsi tra le fila dei siti più blasonati, nell’arduo tentativo di portare alla ribalta i temi della scienza con la passione e l’impegno che solo importanti motivazioni idealistiche possono giustificare. Il fatto è che nonostante l’enorme capacità di condivisione che offrono i social network e con rare eccezioni valorizzate dai media tradizionali, la maggior parte di queste opere rimangono circoscritte affondando nella propria nicchia e difficilmente ottengono il numero di letture che si meritano, una prerogativa complicata dalla scarsa cultura del navigatore medio e dall’isolamento spesso intriso da snobismo in cui giace la categoria.
Al contrario di quanto accade nel mondo anglosassone, dove un blog viene tranquillamente inserito nei curricula e spesso viene riconosciuto istituzionalmente, qui da noi l’incentivo è composto semplicemente dalle motivazioni personali, una sorta di missione autonoma che mira alla divulgazione delle proprie esperienze per la quale le difficoltà dei blogger si palesano soprattutto quando queste vengono considerate dagli stessi scienziati come attività poco nobili, e con loro gran parte degli utenti di internet che vivono nello stesso infondato pregiudizio.
Il chimico impertinente è un blog giovane, ma dal suo insediamento in quel propizio maggio del 2010, ha raccolto in un censimento appositamente dedicato, oltre 300 blog scientifici, un numero che è destinato a crescere costantemente nonostante l’estenuante concorrenza dei siti professionali e la scarsa diffusione al di fuori di un settore forse un po’ troppo di nicchia. Un destino che tuttavia potrebbe cambiare presto se le tendenze si allineeranno con quelle del resto del mondo, dove all’universo dei blog si guarda sempre più con fiducia e simpatia, al punto che sono stati perfino pubblicati diversi articoli scientifici peer reviewed che li esaminano esaltandone le potenzialità divulgative nell’ottica di una maggiore e più efficace popolarizzazione della scienza e che nella maniera più amichevole e informale possibile rendono accessibili al grande pubblico argomenti ostici che spesso sono appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori.
Definire un blog scientifico
Diversi sono i tentativi per definire il significato della denominazione d’origine controllata che corrisponde all’oggetto chiamato “blog scientifico” , anche se spesso risultano troppo limitanti o inadeguati, quando proprio non riescono a contemplare tutte le variegate sfaccettature che un qualunque blog scientifico potrebbe assumere, non a caso una tale voce risulta inesistente perfino nella wikipedia anglofona. Probabilmente uno dei tentativi più calzanti è quello ideato da Bora Zivkovic (non il giocatore danese, bensì il vulcanico cronobiologo, docente di biologia, organizzatore di conferenze ed editore delle antologie Open Laboratory sul meglio della scienza disponibile nel web, ma soprattutto Blog Editor del prestigioso Scientific American), sebbene tale definizione forse si applica più fedelmente alle realtà estere.
Cosa rende un qualsiasi blog, scientifico? Quanti blog scientifici esistono? Come si può distinguere tra i blog scientifici e quelli pseudoscientifici, o peggio ancora demarcare quelli antiscientifici e che diffondono pura fuffa? Al pari di Bora, anche a me piacerebbe ricevere risposte alle fatidiche domande che preoccupano gli interessati, delineando cosa è e cosa non è un blog scientifico, magari evidenziando eventuali sovrapposizioni nei diagrammi di Venn delle categorie trattate e stabilendo il “minimo sindacale” per un’appropriata inclusione. Un’operazione tutt’altro che semplice, data la pluralità e biodiversità del panorama scrivente, resa ancor più complicata dal destreggiarsi al buio senza l’ausilio di linee guida precise e condivise e senza contare le eventuali derive del tutto soggettive e involontarie, come la simpatia particolare o l’intenzione di evitare qualsiasi discriminazione, anche per coloro che pur scrivendo di scienza, non possono certo annoverarsi tra quelli che seguono il mainstream.
Un blog scientifico è un libero diario della scienza curato da un appassionato e dedicato ad (altrettanto) appassionati che lo leggono, condividendo pensieri ed esperienze.
A partire dalla definizione che ho azzardato per il censimento, la quale come potete osservare è sicuramente incompleta, riduttiva, criticabile e perfettibile, l’intento sarebbe quello di provare a descrivere meglio un enunciato che riesca a comprendere in maniera più efficace chi blogga di scienza, producendo materiale originale e coinvolgendo anche il pubblico che non mangia scienza a colazione, oltre a chi scrive raccontando la propria esperienza nella speranza di trasmettere la sua grande passione e nell’ottica di aumentare l’interesse per argomenti fin troppo trascurati o addirittura oscurati dalla pubblica fruizione da un’abbondanza di contenuti futili e ingombranti. Questo risultato potrebbe essere agevolmente conseguito grazie a ciò che oggi si definisce crowdsourcing, una pratica che affida lo sviluppo di un idea ad un insieme indefinito di persone non organizzate in comunità preesistenti, enormemente agevolata dagli strumenti che il web mette a disposizione. In termini pratici, ecco un punto di partenza dal quale si può iniziare a discutere, sempre nel caso in cui si ritenga importante stabilire una precisa identità sostenuta dalla collaborazione reciproca con la speranza che possiate unirvi a me in questo ambizioso progetto, correggendomi eventualmente nei miei errori e completando le informazioni lacunose e infine magari coprendo così l’imbarazzante assenza di una definizione realistica e condivisa. Utopia?
Ciò che può essere considerato come un “blog scientifico”, secondo Bora, è un concetto variabile ed è cambiato nel tempo. Di solito si intende scientifico un blog che soddisfa alcuni requisiti, come ad esempio essere scritto da uno scienziato, da un giornalista scientifico o da un divulgatore professionista e che tratta principalmente argomenti di scienza, ma anche blog utilizzati come strumenti didattici di complemento a un corso di scienze, o ancora dedicati in maniera più o meno ufficiale al rilascio di news scientifiche e comunicati stampa delle società scientifiche, istituzioni, centri di ricerca, università, editori e altre organizzazioni.
Ecco che vedo subito levarsi un coro perplesso di interrogativi imbarazzanti come uno sciame di api imbizzarrito dal cercatore di miele. Ma un blog scritto da uno scienziato che non tratta mai di argomenti scientifici è realmente compreso nella definizione? E un blog di un medico chirurgo che si occupa del negazionismo climatico è da includere? Le difficoltà insorgono ovviamente quando si tratta di definire blog ai margini delle caratteristiche che possono contraddistinguerli senza ombra di dubbio come blog scientifici. Esistono intere classi di blogger che esulano da qualsiasi attribuzione standardizzata. Un blog condotto da un professore per arricchire le proprie lezioni di scienze è molto diverso da un blog che si occupa morbosamente di pura didattica? Provo ad aiutarmi con wikipedia:
Dal greco didàsko (insegno), la didattica è la teoria e la pratica dell’insegnare. La didattica è la scienza della comunicazione e della relazione educativa.
Sembrerebbe che anche questa categoria possa calzare nella definizione, sommariamente un po’ tutti facciamo scienza della comunicazione a modo nostro, con tutte le personalizzazioni del caso. Un po’ meno condivisibile potrebbe essere l’opera di debunking, soprattutto se monotematica come nel caso delle fantomatiche scie chimiche o sull’anticomplottismo dedito a contrastare le negazioni dei primi passi sulla luna, o che so io della sfericità della Terra. Perplessità anche per categorie come l’informatica, l’elettronica, la progettazione aeronautica, le scienze sociali, politiche ed economiche e perfino il transumanesimo, di cui la difficoltà di attribuzione cresce esponenzialmente e diventa del tutto soggettiva e criticabile. Ma immagino di trovare senza difficoltà anche chi escluderebbe senza esitare blog che trattano di psicologia, quando non della ben più astratta e temibile filosofia, nonostante quest’ultima dovrebbe esercitare l’archetipo fondante dell’argomento scientifico in tutta la sua concretezza. Mica cicciole…
Le cose si complicano ulteriormente se consideriamo che oggigiorno le forme di blogging si differenziano almeno in tre categorie: macro-, meso- e microblogging, le quali generalmente si appoggiano a piattaforme come Blogger e WordPress nel primo caso, Posterous o Tumblr nel secondo e social media come Twitter o Facebook nel terzo. Sempre più frequenti oltretutto sono casi anche eleganti in ciascuna delle tre dimensioni su ciascuna delle tre piattaforme dove si scambiano allegramente le destinazioni, improvvisando ad esempio un macroblogging su Tumblr o un microblogging su WordPress. E qui ci domandiamo ancora, ma un post composto da una sola frase e un immagine può essere paragonabile a 140 caratteri comprensivi di link e commento pubblicato su un canale Twitter? Alcuni post pubblicati su Facebook o su Google Plus possono essere anche più lunghi e pertinenti di molti altri che usano le piattaforme tradizionali, rompendo tutti gli schemi preimpostati. E’ anche vero che sempre più si stanno affermando i social media come metodo veloce e immediato per scambi di piccoli aggiornamenti, link, e informazioni spicciole lasciando al blog vero e proprio le memorie più corpose, che talvolta potrebbero essere ritenute vere e proprie opere editoriali professionali. Per finire rimane ancora da comprendere il tema importante del blogging alternativo emergente, come può esserlo il photoblogging, il videoblogging, il podcasting e tutte le altre forme di comunicazioni ascrivibili al blogging che portali come Flickr, Picasa, Instagram, Pinterest, Tumblr, YouTube, DeviantArt e altri ancora oggi consentono con sempre più facilità.
Interessante e, forse, più azzeccata è invece la documentata definizione fornita da Vinciane Colson, che cercherò di sintetizzare. Da quando Lapointe e Drouin nel 2007 descrissero il blog scientifico come strumento che consente agli scienziati di parlare direttamente alla gente, in modo che possa leggere quello che gli scienziati hanno da dire, creando l’opportunità di scambio della conoscenza da parte di esperti e allo stesso tempo abilitando un ampio dialogo tra le persone normali e la cosiddetta “Torre d’avorio”, di acqua ne è passata parecchia. Se guardiamo i contenuti, alcuni blog si concentrano su settori specifici, mentre altri assumono punti di vista più generali. Tuttavia la maggior parte esplora il processo scientifico piuttosto che la semplice pubblicazione della scoperta, per esempio le relazioni tra “scienza e società”, la vita di un ricercatore, la comunicazione della scienza o i problemi della vita accademica.
Secondo Daniel D. Brown (2009), gli autori dei blog scientifici possiedono profili variegati che spaziano nell’intero gamut dei possibili livelli educativi, dalla persona comune con uno smisurato interesse per la scienza (aspetto nel quale credo di riconoscermi), agli insegnanti, fino a ogni tipo di studente o ricercatore, ma si trovano sempre più presenze di veri e propri indagatori della scienza e giornalisti, oltre a casi particolari e atipici. Possiamo infine distinguere profili a seconda della destinazione d’uso, da quelli che scrivono per un pubblico più ampio con una certa reverenza per la divulgazione, fino agli specialisti che si confrontano su questioni specifiche con i propri colleghi, riservandosi implicitamente una cerchia di eletti.
Alcuni blogger americani hanno giocato anche un ruolo significativo nello sviluppo del mondo accademico tradizionale. Per esempio nel 2005, Reed Cartwright (De Rerum Natura) era in disaccordo con le conclusioni di una ricerca pubblicata su Nature e così postò sul suo blog ciò che riteneva un’interpretazione più probabile dei dati. Luca Comai, ricercatore all’Università di Washington, stava per pubblicare una lettera all’editore argomentando le stesse ipotesi alternative quando all’improvviso leggendo il blog di Cartwright si rese conto di essere stato battuto per un soffio. Alla fine tuttavia si accordarono e pubblicarono insieme le loro tesi nella rivista Plant Cell, un lieto fine ammirevole.
Nella blogosfera comunque non bisogna mai dimenticare che la valutazione dei pari viene condotta spesso in maniera del tutto informale, come una lettura qualsiasi, e le reputazioni sono in gran parte costruite tramite link da altri blog. (Batts et al., 2008) Perseguire questo indizio significherebbe, come dicono gli anglofoni, dedicarsi alla costruzione della rete, una rete densa di menzioni che favoriscono la creazione di ipertesti trasversali, che si rafforzano vicendevolmente in un illuminato sforzo collaborativo plurireferenziato, un framework spontaneo che sarebbe difficilmente demolibile dall’occasionale venditore di fumo.
L’importanza di un blog scientifico in un ambiente mutevole
Nel 2011 è stato pubblicato uno studio di Daniel Torres-Salinas, Álvaro Cabezas-Clavijo, Rafael Ruiz-Pérez ed Emilio Delgado López-Cózar dell’Università di Granada che fa il punto sulla situazione della blogosfera scientifica dopo il boom dei social network. L’analisi addirittura metrica dei blog, resa possibile grazie ad un motore di ricerca dedicato (ahimè oggi fuori servizio) e condotta dal 2006 al 2009 indicizzando i contenuti provenienti da 1108 fonti, tra blog personali e corporativi (per un totale di 275103 post), evidenzia il tasso di sopravvivenza dei blog, la produzione attiva e la visibilità raggiunta con indicatori quali il numero di link ricevuti, l’autorevolezza guadagnata con Technorati e il PageRank di Google.
In Italia esiste un motore di ricerca simile, anche se purtroppo si limita ad una ricerca generica sulla base di una trentina di siti. Si chiama CercoScienza, opera del bravo Orfeo Morello, che è anche conduttore del blog VeraScienza. Sarebbe davvero auspicabile che un maggior numero di blog che si ritengono scientifici, entri a far parte della lista così da ampliare la possibilità di ricerca dei contenuti e rendere così l’elenco più rispondente alla realtà, dato che l’inclusione è su base volontaria.
Tornando allo studio che stavamo esaminando, pur nella sua parzialità, durante il periodo osservato c’è stata una flessione del 52% nel numero dei blog attivi, in pratica uno su due ha cessato l’attività. Tuttavia nonostante il calo produttivo generalizzato, il numero di post per singolo blog è rimasto quasi costante, con una media di quasi un post ogni due giorni. Per concludere sono stati individuati i blog più rappresentativi per ogni disciplina e discusse le differenze tra blog personali (59% del totale esaminato) e corporativi considerando la produttività e le ripercussioni sulla blogosfera, un lavoro che secondo gli autori ha portato a stabilire come i blog siano un fenomeno che ha perso una grande opportunità per dimostrare la loro importanza.
In effetti le differenze evidenti tra il primo grafico e quest’ultimo sono dovute al fatto che il campione esaminato in questa ricerca è limitato dal numero fisso dei blog inizialmente presi in considerazione, come anche gli autori fanno notare, mentre nel caso del mio censimento l’elenco è dinamico: nel tempo grazie ai miei pellegrinaggi e con l’ausilio di provvide segnalazioni ho eliminato blog inattivi o devianti verso altri lidi, rimpiazzandoli con un maggior numero di nuovi accoliti che nel mentre sono scesi in questo campo. Bisogna inoltre ammettere che la blogosfera italiana è caratterizzata da un tasso di inerzia maggiore rispetto a quella anglosassone, con un recepimento delle usanze sulla comunicazione scientifica informale affetta da un certo ritardo, anche se il gap si sta riducendo sempre di più. Vanno considerate inoltre anche le evidenti differenze tra queste due realtà con un esplosione del mondo dei blog avvenuta là molto tempo prima che da noi, complice il penalizzante digital divide che da sempre affligge la diffusione di internet e tutti i suoi conseguenti benefici nel nostro paese.
Secondo gli autori, le conclusioni comunque non dovrebbero necessariamente indurre all’assunzione che il declino osservato sia dovuto ad un minor coinvolgimento nell’ambito comunicativo da parte della comunità scientifica. Questi elementi, abbandonando, potrebbero facilmente essere migrati verso altri servizi e applicazioni in rapida ascesa, come i già citati Twitter e Facebook, avvalorando questa ipotesi con la coincidenza temporale tra il massimo picco negativo della produttività dei blog e l’iscrizione massiva ai Social Network avvenuta tra il 2007 e il 2008. Potrebbe essere interessante osservare se il ritardo nel caso italico si trasformerà invece in un’opportunità unica nel momento in cui anche la nostra blogosfera esploderà, sempre che non sia già esplosa e io non me ne sia avveduto. L’interazione ormai collaudata tra blog e social potrebbe generare una provvidenziale integrazione capace di selezionare e valorizzare solo i contenuti che meritano, lasciando ai margini feccie pseudoscientifiche e siti caratterizzati dalla dubbia moralità, ma nel contempo determina l’esigenza di stabilire l’estensione del fenomeno per il quale la conversazione che inizialmente si è stabilita attraverso i blog nella prima parte del decennio si trasferirà verso le nuove forme comunicative come i social network, ed eventualmente correre ai ripari flessibilmente, sempre che sia ancora possibile.
I blog, la ricerca e le discussioni sulle informazioni accademiche
Sicuramente in molti ricorderanno la vicenda dei controversi batteri all’arsenico, un evento che scatenò una corposa fazione di scettici, tra cui emerge anche la figura di Rosie Redfield, che guardacaso è proprio uno dei blogger che cavalcando l’onda dell’incipiente open access e public review insieme al suo team ha analizzato il DNA incriminato, non trovando traccia alcuna del velenoso semimetallo e ha pubblicato così i suoi risultati implicando la questione di una eventuale ritrattazione della precedente ricerca. Gran parte di questo lavoro e delle relative esperienze sono state anticipate e diffuse in itinere sul blog di Rosie, che si è così trasformato in un formidabile strumento collaborativo con il quale perfezionare le sue deduzioni e osservazioni, tant’è vero che in men che non si dica si è elevato migrando da Blogger a Field of Science, un network indipendente di blog scientifici basato su Blogger in cui si esercita la più completa libertà editoriale lasciando la proprietà dei contenuti in esclusiva agli autori. Chissà quando una cosa del genere accadrà qui in Italia, anche se qualcuno tra i blogger italiani più ambiziosi e meritevoli è felicemente approdato su quella piattaforma come Gianluigi Filippelli e il suo inglesissimo blog di fisica Doc Madhattan,, sempre molto interessante e puntuale.
Le immediate conseguenze dell’episodio batterico portano direttamente ad una inevitabile riconsiderazione dei meccanismi di revisione paritaria (ma si potrebbe dire anche elitaria) in favore di una pubblica ridiscussione di metodi e conclusioni, una pratica semplificata dalla crescente possibilità di accesso ai documenti referati, tra preprint e accessi aperti. Ne consegue che nonostante i blog scientifici siano ormai diventati un meccanismo popolare per una comoda discussione veloce anche su argomentazioni accademiche, a differenza delle riviste scientifiche, in tale ambito vengono meno tutti quei dettagli relativi all’identità del blogger, come il suo escursus didattico e l’esperienza o le eventuali affiliazioni istituzionali arrivando fino a metterne in discussione la reale autorevolezza. Come dire che un pensiero autorevole può essere generato solo da una figura altrettanto autorevole, negandone le ovvie derivazioni alternative e cioè che una figura autorevole possa pensare in maniera poco autorevole o che una figura senza autorevolezza alcuna possa mai proferire qualcosa di ineccepibile.
Di solito queste sono identificabili come fallacie informali di pertinenza (Argumentum ad hominem, Ad auctoritatem o peggio ancora Ad judicium), ma possono semplicemente essere assimilate al pressapochismo. Credo che anche in alcuni processi di peer review i revisori e gli autori rimangano anonimi, gli uni per gli altri. Il problema è che spesso si dubita anche della possibilità che un blog possa ospitare contenuti autorevoli, mentre è ormai possibile una valutazione che si potrebbe basare su indicatori generici come il PageRank, il numero di citazioni e condivisioni, il numero di commenti per post, le visite uniche, o ancora (perché no?) il valore dei contenuti anche su basi soggettive da parte di una comunità collaborativa e soprattutto neutrale, magari, e qui passatemi la provocazione, anche una rappresentanza di eletti come in un regime democratico, nonostante sia ormai assodato che di democratico nella scienza non c’è poi granché… Oppure forse si potrebbe realizzare una sorta di consociativismo volontario che riunisce i blogger sotto un’etichetta comune di mutuo supporto, tra promozione e cooperazione, anche passiva, che acquisisce valore e distribuisce notorietà anche a chi non dispone dei mezzi per conseguirla.
Eclatante e sempre più interessante è invece l’esperienza di ResearchBlogging (RB) in questo frangente. RB aggrega su base volontaria e coordinata da alcuni blogger responsabili, tutti i post che si basano o fanno riferimento alla ricerca peer reviewed, consentendo agli stessi blogger di citare le proprie fonti con il metodo accademico. Uno studio condotto da Hadas Shema, Judit Bar-Ilan e Mike Thelwall pubblicato lo scorso mese di maggio su PLoS ONE dimostra che i blogger affiliati a RB preferiscono trattare di pubblicazioni scientifiche ad alto impatto, concentrandosi però sulla ricerca di scienze della vita e comportamentali. Le riviste specializzate più citate pertanto sono Science, Nature, PNAS e PLoS ONE. La maggior parte dei blogger esaminati possiede un canale Twitter attivo collegato al proprio blog, tra i quali per almeno il 90% dei casi si riconduce ad almeno un altro canale Twitter, sempre correlato a RB. Il blogger tipico che usa RB di solito è maschio e può essere un semplice laureato oppure un PhD; spesso si firma con il suo vero nome. Un esempio simile a quello di RB, solo in inglese, è la piattaforma ScienceBlogs (per esteso: Peer Review on Science Blogs), anche se in questo caso si tratta di una vera e propria comunità virtuale nata nel 2006 e recentemente sponsorizzata dal National Geographic, dato l’elevato livello dei suoi contenuti. Qualcuno potrebbe però ricordarla per il brutto episodio del PepsiGate nel 2010, quando a causa di una spregiudicata intrusione da parte di un noto gruppo commerciale, buona parte dei blogger indignati e preoccupati dalla poco etica deriva promozionale mischiata al giornalismo, protestarono sonoramente mentre molti altri addirittura gettarono la spugna, ripiegando altrove.
La questione dell’autorevolezza
Il problema dello scarso riconoscimento accademico probabilmente affonda le proprie radici nell’assenza di contatto e dialogo tra questi due mondi, che anzi spesso si trovano sulle rive opposte di uno stesso fiume e non mancano di scambiarsi “pietre levigate” poco amichevoli per evitare un auspicabile guado, eccezione fatta in rari e circoscritti casi specifici. Ma facciamo un passo indietro. Tradizionalmente la valutazione della ricerca sovente viene condotta tramite l’analisi delle citazioni e di solito una citazione implica una connessione tra i due documenti, quello citante e quello citato, benché essa non indichi affatto la natura di questa connessione. Secondo Merton (The normative structure of science – 1973) una citazione è il modo in cui uno scienziato riconosce un debito intellettuale ad un’altra ricerca. D’altra parte la visione costruttivista sociale sulla citazione distingue una serie di fattori che la determinano, alcuni dei quali non hanno nulla a che vedere con il debito intellettuale. Ad esempio le menzioni di paperi pubblicati in open access potrebbero risultare maggiori di quelli celate dietro a un paywall. Il sistema di menzioni nel mondo dei blog, al contrario, è caratterizzato da una precisa volontà di riconoscere un’integrazione utile al proprio post, ma anche per semplici segnalazioni, approfondimenti, correlazioni e partnership, fino alla pura menzione per dibattere una tesi contraria e documentata, come nel caso delle inchieste o delle smentite di bufale scientifiche che si diffondono in ambienti tutt’altro che accademici, casi che rappresentano un caposaldo esemplare del virtuosismo di un blog. In questi casi la citazione ha valore negativo, non può essere considerata alla stessa stregua di una menzione per il valore intrinseco di un post bellissimo e illuminante, è ovvio! Ne deriva che il referaggio di un blog, oltre ad essere di discutibile necessità, comporta problematiche difficilmente riducibili ad algoritmi come quelli che caratterizzano le classifiche di e-buzzing (ex Wikio), BlogBabel o addirittura il PageRank (peraltro con intenti di carattere più commerciale che scientifico), quand’anche l’indice di Hirsch, una specie di impact factor per classificare la prolificità e l’impatto del lavoro di uno scienziato, appositamente rielaborato per i blog da Peppe Liberti, fornisce risultati insoddisfacenti? Forse anche in questo caso una sorta di brainstorming collaborativo potrebbe ovviare a questa lacuna, non tanto per rischiare di misurarsi in una classifica altalenante e spesso scollegata in cui non si vince nulla e di cui pochi sentono davvero il bisogno, ma più che altro per fornire un certo riconoscimento, una sorta di validazione per la quale anche un blog indipendente possa risultare più o meno autorevole e inserito a pieno titolo nella categoria che si merita, nel bene e nel male. La domanda è la stessa: ne sentiamo l’esigenza, o possiamo continuare così come ci pare in un caos traboccante di anarchia e libertarismo? Chissà, forse avere la possibilità di scegliere non sarebbe del tutto malvagia.
Datemi un blog e solleverò il mondo
Considerando un ulteriore aspetto dei blog, si può dire che esistono diversi moventi alla base dei blog scientifici, i quali principalmente si riconducono alla condivisione di contenuti e all’espressione delle proprie opinioni, ma spesso anche per migliorare le proprie abilità nello scrivere, per organizzare pensieri e interagire creando relazioni all’interno e all’esterno del proprio orticello disciplinare. Bloggare di scienza può fornire al blogger lo spazio adatto alla stimolazione della sua creatività e la bella sensazione di essere connesso ad una comunità più vasta che ne condivide gli interessi. Indubbiamente l’affermazione di un blog può diventare un mezzo eccellente per stabilire una certa classe di reputazione, anche se virtuale. Un blog scientifico reputabile inoltre, può aggiungere la necessaria trasparenza che molti vorrebbero nei confronti del processo scientifico, tramite la revisione e la discussione della cultura scientifica in generale e della ricerca in particolare. Quindi la possibilità di pubblicare una pseudo-peer-review del tutto informale, in luogo di una certa autorevolezza e pur non rientrando nella definizione di referee, potrebbe fornire opportunità decisamente inedite, come nel caso di Retraction Watch, un blog che pubblica con competenza e dovizia di particolari tutti i casi in cui un papero viene ritrattato o ritirato. Tra gli spunti trovati durante i miei pellegrinaggi, avevo notato anche un eccellente sistema di riesame delle fonti con la possibilità di confutare tramite un post qualsiasi pubblicazione che si spacci per verità infusa. Con l’ausilio di un plugin per il browser diventa così possibile con un colpo d’occhio reperire eventuali critiche documentate a supporto dell’antitesi, o che smontano direttamente l’articolo che dovizia di particolari. Fatevi un giro, il blog in questione si chiama rbutr e ha già superato le 3000 utenze per un migliaio di “rebuttal” orgogliosamente linkati dagli scettici di turno.
Tornando a noi, la conclusione generata dall’analisi del campione di blog scientifici esaminati, non a caso riconosce che essi condividano le stesse caratteristiche di altri sistemi di dibattito scientifico, per cui si evidenzia una certa utilità nel registrare e seguire questo tipo di comunicazione, che così potrebbe diventare parte della futura metrica di valutazione. Una previsione forse troppo azzardata, anche se non del tutto inverosimile dati i precedenti.
Giornalisti Versus Blogger Versus Scienziati
Gli scienziati in genere criticano i giornalisti per il fatto di essere troppo semplicistici, mentre i giornalisti criticano i ricercatori per la loro scarsa capacità di comunicazione. Questo è un luogo comune che si trascina da tempo, tuttavia con l’avvento del web 2.0, molti ricercatori hanno eluso le tradizioni diventando più comunicativi proprio grazie alla maggiore versatilità e fruibilità dell’interfaccia di un blog, superando quegli scogli chiamati indifferenza e scetticismo nei confronti dello strumento e dell’interfaccia. Sembrerebbero esserci anche segnali positivi di miglioramento dei rapporti man mano che ci si rende conto che i modelli di comunicazione sono più dinamici di quanto si pensava in un primo tempo e i blog scientifici possono essere ritenuti come una nuova espressione del modello di comunicazione della scienza diretta al pubblico.
Molti giornalisti ammettono di leggere i blog nei processi di raccolta delle informazioni e per sviluppare le idee per i loro articoli, anche se la maggioranza continua ad ignorarli interamente. D’altra parte sono sempre più i lettori che percepiscono i blog come fonti di informazioni più credibili di qualunque altra forma di media come la radio, la televisione o i giornali su carta e online. Perché non approfittarne per una maggiore integrazione reciproca di tipo collaborativo in cui i blog diventano un tramite, un ponte tra giornalisti e scienziati anziché competere in un sistema che può solo mietere vittime tanto inutili quanto inconsapevoli?
Potrebbe essere una fantastica occasione per sfruttare la potenziale complementarietà degli attori di questa avvincente commedia, ciascuno impegnato nell’espressione delle proprie virtù, riconoscendo l’inutilità della rivalità in luogo di un propizio mutualismo destinato alla corretta diffusione della scienza, un proposito che dovrebbe interessare in primo luogo le istituzioni, le quali gioverebbero anch’esse del ritorno di immagine così incoraggiato, mentre il giornalismo potrebbe evolversi, rivitalizzato dal melting pot di idee innovative proveniente dall’ambiente dei blog, piuttosto che fomentare il circolo vizioso del gatto che morde la sua coda, ritorcendosi su se stesso. Perché da noi non può essere più utopistico di quanto già accade altrove.
La situazione della blogosfera scientifica italiana
Nel gennaio 2011 Technorati censiva oltre seimila blog scientifici, oggi arriva a contenerne circa il doppio con ben 12.098 blog appartenenti alla categoria “Science”, un incremento del 100% in meno di due anni. Come si evince dal grafico di copertina di questo articolo esiste un abisso incomparabile con la situazione italiana, tuttavia è possibile notare anche qui un timido riscaldamento del settore, almeno secondo i dati da me collezionati in questi due anni di osservazioni. Naturalmente la visione è del tutto parziale e incompleta, ma potrebbe essere un ottimo spunto per individuare alcune caratteristiche che distinguono la nostra blogosfera e potrebbero diventare oggetto di interessanti discussioni.
Al momento in cui scrivo il censimento accoglie 316 blog scientifici, un numero relativamente irrisorio rispetto al pluralismo e alla diffusione dei blog in Italia, un numero che però è destinato ad aumentare. Dalle informazioni che è stato possibile collezionare, sappiamo che esiste un 38% di essi che non è specifico, ma tratta argomenti che appartengono a più discipline scientifiche qualificandosi con l’appellativo “generalista”. Tra gli specialisti invece, che complessivamente rappresentano la maggioranza dei blogger attivi, risulta un 10% dedicato alla biologia, un 7% all’astronomia, 6% per matematica e altrettanto per chimica, 4% per fisica e un buon 29% per altre specializzazioni non comprese tra le categorie principali. Una distribuzione che rappresenta fedelmente un certo equilibrio nella pluralità di interessi dei blog, piuttosto che un concentramento delle competenze su limitati settori che apparentemente potrebbero richiamare più interessi a seconda delle mode del momento, quali la fisica delle particelle o i progressi nel campo della genetica per esempio, come sembrerebbe emergere dalla situazione dipinta dai media tradizionali.
Se vogliamo ridurre la categorizzazione, possiamo scoprire che per il 68% dei casi considerati siamo in presenza di un blog completamente individuale e indipendente, una componente affiancata dal 20% di blog che fa affidamento sugli sforzi di più autori, in alternanza o in collaborazione per blog di tipo corporativo o anche solo accomunati da una stessa passione. A questo 88% si contrappone in misura crescente un 12% di blog che si appoggia a un Network, come possono esserlo i blog di Focus, di Le Scienze o de Il Fatto, tanto per citarne alcuni.
Normalmente il blogger è riconoscibile con il suo vero nome, tra i quali molti giornalisti e scienziati già noti per il loro operato. Nel 25% dei casi tuttavia si ripiega nell’adozione di uno pseudonimo per i motivi più disparati. L’anonimato in rete è una pratica comune, nonostante il fatto che l’implicita assenza di riferimenti sull’identità dell’autore riduca inevitabilmente l’eventuale autorevolezza di un curriculum rispettabile, questo non scoraggia coloro che l’adoperano, incuranti delle conseguenze. Come abbiamo già avuto modo di osservare, non è affatto necessario giudicare lo scrittore per il suo nome, ma per ciò che scrive ed essi saranno ben felici di essere criticati per le loro idee, piuttosto che per il nome. E nemmeno si può appellarsi alla pratica comune, visto che anche in passato autori eccellenti e stimati hanno preferito pubblicare delle divagazioni sotto falso nome per evitare una moltitudine di situazioni spiacevoli o addirittura rischiose. Non trovo necessario nemmeno aggiungere quanto il nome stesso potrebbe influenzare ciò che si sta leggendo, una distrazione vera e propria che non si addice alla scienza e alle idee. Come argomenta anche Alice Bell nel suo approfondimento sul giornalismo scientifico, i social media possono diventare molto potenti nella costruzione di una reputazione (e aggiungerei anche nel distruggerla). I vari personaggi che si nascondono dietro un nickname possono interagire grazie ai commenti nei propri e altrui blog, oltre al fatto che seguendoli tramite i loro canali di diffusione è possibile costruirsi un’immagine piuttosto realistica della personalità, comprensiva di tratti culturali, politici e intellettuali, nonché alcuni distillati dettagli personali che stabilizzano una certa confidenza identificativa. Per esempio se mi seguite potrete scoprire che adoro il cioccolato e il caffè, non sopporto la televisione, il calcio e la politica, amo gli animali e vivo con un bel cagnone di taglia media oltre alla mia famiglia, e via discorrendo, pur mantenendo riservati tutti quegli aspetti della privacy che preferisco rimangano prettamente privati e separati dall’immagine pubblica.
Tra le curiosità che i dati finora accumulati rivelano, di cui state leggendo un’anteprima che presenterò allo ScienceCamp di Riva del Garda in occasione del BlogFest, che si svolgerà il prossimo sabato 29 settembre a partire dalle ore 18.00, scopro che tra il 2009 e il 2010 sono sbocciati nella blogosfera una cospicua parte dei blog scientifici ancora attivi, mentre i più antichi risalgono all’inizio del millennio, ma sono davvero pochi temerari ben saldi al timone del proprio blog, che oramai sono da considerarsi benevolmente come storiche reliquie.
Due terzi dei blog sono condotti da individui di sesso maschile. Ahimè anche in questo caso dobbiamo denunciare l’assordante limitatezza delle quote rosa che coprono appena il 21% della torta sebbene sia affiancato da un 12% di blog di tipo cooperativo a genere misto. Non posso che auspicare un crescente bilanciamento delle parti con una risalita di china da parte delle bloggatrici che scrivono di scienza, affinché anche in questo campo contribuiscano a formare una visione più pluralista e una comunicazione della scienza sempre meno discriminata e più aperta verso ogni tipo di audience.
Voglio concludere con una nota dolente, o forse incoraggiante, a seconda dei punti di vista. Dal 2010 in Italia è disponibile un aggregatore specifico per i blog scientifici che trattano ricerca peer reviewed, nato da una iniziativa anglofona ormai consolidata. ResearchBlogging, l’aggregatore già menzionato che colleziona i feed dei post che trattano questioni specifiche di scienza e ricerca pur lasciando la libertà al blog di dedicarsi ad altro però sembra non riscuotere la dovuta attenzione, sia da parte dei lettori che dei partecipanti, nonostante una produttività del tutto rispettabile in tutti i campi dello scibile determinata dalla passione e dagli sforzi di meno dell’11% dei blog scientifici censiti.
Ecco, questo sarebbe un ottimo argomento da approfondire: come mai quando ci sono buoni esempi da importare per migliorare la comunicazione della scienza, una questione ampiamente condivisibile data l’arretratezza della situazione italiana, sono pochissimi coloro che osano scendere in campo e accettano di confrontarsi in un contesto più grande? O forse è solo l’irrazionale paura di attingere dalle fonti primarie, a cui eventualmente aggiungere la giusta enfasi, piuttosto che ripassare con un copia,traduci e incolla un comunicato stampa in maniera acritica che però già contiene i comodi elementi del sensazionalismo che attirano l’attenzione del pubblico meno scaltro?
Quello che ho capito, è solo che la comunicazione della scienza si sta già evolvendo inesorabilmente, non possiamo più permetterci di restare a guardare.
Bibliografia:
Daniel Torres-Salinas, Álvaro Cabezas-Clavijo, Rafael Ruiz-Pérez,, & Emilio Delgado López-Cózar (2011). State of the Library and Information Science Blogosphere after Social Networks Boom: a Metric Approach Library & Information Science Research DOI: 10.1016/j.lisr.2010.08.001 e disponibile in preprint a questo link.
Shema H, Bar-Ilan J, & Thelwall M (2012). Research blogs and the discussion of scholarly information. PloS one, 7 (5) PMID: 22606239
Vinciane Colson (2011). Science blogs as competing channels for the dissemination of science news Journalism DOI: 10.1177/1464884911412834
Alice Bell (2012). Has blogging changed science writing? Cell DOI: 10.1016/j.cell.2007.04.032
Approfondimenti:
- I blog e la comunicazione scientifica – Peppe Liberti, Rangle
- Science Blogs – definition, and a history – Bora Zivkovic, A Blog Around The Clock
- Why do we blog? To change the world – Bora Zivkovic, A Blog Around The Clock