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BLOG TOUR - Reborn, di Miriam Mastrovito: La recensione

Creato il 09 maggio 2014 da Mik_94
Buongiorno a tutti, amici! Questa settimana, sì che sono orgoglioso di me: vi ho riempito di post, e si tratta – in tutti i casi – di recensioni. Quella che vi propongo oggi, in realtà, è diversa dalle altre. Perché il libro in questione è di un'amica blogger e perché è la tappa di un Blog Tour iniziato, ormai, da qualche tempo. Qui, orientandovi con un comodo calendario, potrete scoprire o recuperare le precedenti tappe: sarà la stessa Miriam – mente dei blog Il flauto di Pan e Leggere è magia – a parlarvi della gestazione del romanzo, della sua colonna sonora, dei miti e delle ispirazioni che sono alla base di tutto. Vi consiglio vivamente di farvi un giro sui blog indicati, dunque, e di partecipare al giveaway finale. Io ringrazio Miriam per la gentilezza e l'immensa disponibilità, la abbraccio e vi abbraccio. Aspetto i vostri commenti. Buon weekend a voi, buono studio a me: primo esame del secondo semestre prenotato. Che guaio! Perdonate la fretta, ma scappo. A presto, M. Gli occhi delle bambole ti guardano. Amore, odio, dolore, compassione; riflettono quello che hai dentro o ti riempiono di emozioni nuove. Gli occhi delle bambole ti guardano e, a volte, sembrano scusarsi per non essere abbastanza vivi.
BLOG TOUR - Reborn, di Miriam Mastrovito: La recensione Titolo: Reborn Autrice: Miriam Mastrovito Editore: youcanprint Prezzo: Ebook € 2,99 Cartaceo: € 16,00 Numero di pagine: 290 Sinossi: Una bambina venuta dal passato. Una madre in lutto. Un folle eroe romantico. Un cocchiere dall’occhio di vetro. Una storia d’Amore e Morte che vi condurrà al confine tra i mondi.                                                  La recensione BLOG TOUR - Reborn, di Miriam Mastrovito: La recensione Conosco Miriam Mastrovito da quando Diario di una dipendenza esiste, ma la seguo da prima. La leggo da anni. Sempre come blogger, mai come autrice, però. L'ho vista alle prese con i generi più diversi. Parlare di romanzi d'esordio, di horror e young adult, di fantasy ed erotici. E' una delle poche addette ai lavori, credo, capace di masticare di tutto. Senza pregiudizi, con una grande capacità d'analisi. Quando mi ha contattato per un'opinione su Reborn è stata la prima volta che l'ho sentita parlare di una storia che fosse sua. Con già diverse pubblicazioni alle spalle, si metteva di nuovo in gioco. Questa volta, un po' più delle altre. Dopo collaborazioni varie, sperimentava il Self Publishing, per far conoscere le tetre vicende di una bambina tornata dal passato, di una madre a metà, di un romantico beccamorto. Il mio sì alla proposta di ospitare una tappa del Blog Tour è stato immediato. Dico sempre che è arduo giudicare il lavoro di persone che conosci, ma più arduo è resistere a una storia che ti chiama. A una tentazione. Quando, dopo una manciata di giorni, sono arrivato all'ultima pagina del suo romanzo, la prima cosa che ho fatto è stata aprire il portatile e mandarle una lunga e prolissa email delle mie. Le scrivevo questo: “Ciao, Miriam! Eccomi qui, come promesso. Ho chiuso Reborn cinque minuti fa e ti scrivo. E' ancora presto per mettere in ordine i pensieri e lavorare a una recensione come si deve, ma ti do le mie impressioni a caldo. E ti do quell'onestà che, non ho dubbio alcuno, aperta alle critiche come sei, ti farà piacere ricevere. La domanda: mi è piaciuto? Sì, in generale mi è piaciuto, il tuo Reborn. Io amo il genere e mi ha ricordato, per un motivo o per un altro, una serie di pellicole o romanzi che ho particolarmente amato. Mi ha ricordato il cinema horror spagnolo. Sai che io vivo di film, quindi mi basta un dettaglio per farmi pensare ad altro. Mi viene naturale, e magari si tratta di film che tu non hai nemmeno mai visto: La madre, The Orphanage, La spina del diavoloNameless. In comune, questi titoli, hanno il tema della maternità; protagonisti assoluti, bambini tristi e coraggiosi non sempre destinati a un finale lieto.” Le dicevo che avevo apprezzate alcune cose, altre meno. Quelle che meno avevo preferito, in realtà, non le avevo messe a fuoco come avrei sperato. L'input racconta un incubo domestico che strega: una giovane donna alle prese con un incidente avvolto nel buio e con due tombe a cui fare visita. Suo marito e la sua amata bimba, Martina, non ci sono più. Elga vive in una casa piena delle bambole che costruisce, ma ha pochi clienti – in paese – e nessuna figlia a cui regalarle. Prepara torte che nessuno mangerà, le riempie di candeline che nessuno spegnerà, per un ultimo compleanno ancora da compiersi. Finché, nelle notti della mite Gioia Del Colle, accade qualcosa di bizzarro. E inquietante. Alla torta al cioccolato manca un pezzo, le candeline sono state spente, quella casa spaventosamente vuota si riempie di risate cristalline. Elga va a dormire con il ricordo di una figlia nella tomba, ma – il mattino successivo – si sveglia, e una figlia ce l'ha ancora. Una bambina che, urla e giura, non è la sua, ma che tutti riconoscono come tale. Di Martina sono scomparse le foto, i disegni, i ricordi nella mente di coloro che ha incontrato. Ma una mamma non dimentica... Come può? Come la Coraline di Neil Gaiman, Elga si trova a vivere in una dimensione distorta, che ha l'ombra dei suoi desideri inconsci. I genitori di Coraline avevano bottoni per occhi, la piccola Rea – che odora di terra bagnata, che sembra sbucata dagli anni '60, che ha paura dell'orco che l'ha messa al mondo – ha il viso di una bambola di porcellana.  BLOG TOUR - Reborn, di Miriam Mastrovito: La recensione Occhi espressivi, che a volte diventano di vetro, aperti sui segreti di altre vite. Quelli non erano i genitori di Coraline, questa non è la figlia di Elga. Il macabro snodo iniziale, successivamente, si tinge di porpora. Si passa, infatti, alla rievocazione di un amore lontano, a memorie passate, che dal noir fanno virare il romanzo verso un fantasy intriso di romanticismo, dove chi ha amato veramente ricorda e dove inconsapevoli anime gemelle possono riunirsi. In quei momenti – come ho rivelato alla stessa Miriam – ho pensato ai temi di Grande amoreFallen, Dark HeavenReborn, tuttavia, non ha come nucleo una storia d'amore: non parla di angeli e demoni, non parla di baci sdolcinati dati al liceo. La storia guarda al rock duro, spietato, cattivo, ma in realtà ha uno stile piacevolissimo: puro, delicato, cristallino, fresco. L'autrice ha la sensibilità di chi è mamma, nella vita, e si vede. Si sente, inoltre, l'influenza della medesima teoria che aveva ispirato Leonardo Patrignani e il suo notissimo Multiversum, nei discorsi sul caos, sulla casualità, sull'equilibrio di un mondo senza Dio. Come in musica, però, è pur vero che le idee fluiscono in uno stesso fiume. Le note musicali sono sette e gli accordi, talora, possono somigliarsi. Non c'ho dato peso, sinceramente. Perché i protagonisti – simili, eppure diversi da tutti gli altri – mi sono subito stati a cuore e perché, mentre Patrignani guardava alla dea scienza, la Mastrovito adotta un approccio più focoso, lampante. Pagano. Il rapporto tra Rea e Elga è pieno di intimità, Iuri ha un animo da eroe d'altri tempi e il cocchiere Ogma – così ambiguo e ipnotico – ha il carisma dei vecchi villains della Disney. Mi riferisco ad Ade, a Scar, ma soprattutto al Papa Legba dei culti vodoo. Con il cappello a cilindro, l'occhio di vetro e le fattezze androgine, sembra uscito da una leggenda della splendida New Orleans. Ecco un altro punto: vedere i personaggi di Reborn muoversi nelle paludi della Louisiana sarebbe stato naturalissimo, invece Miriam inscena il tutto nella sua città. Scelta ottima, una ventata d'aria nuova! La Puglia di Elga è lontana da quella di Ozpetek e delle sue Mine Vaganti. E' piovosa, stretta, superstiziosa. Ha le limitatezze e la segreta bontà di tutti i paesini del Sud, e io li conosco bene: ne provengo da uno anch'io.  BLOG TOUR - Reborn, di Miriam Mastrovito: La recensione L'umidità persistente dei paesi, i vicoli, le case vecchie coi loro vecchi abitanti, il piccolo comune che conta – ormai – più morti che vivi. A Gioia, però, manca il fascino. Mancano i mostri e i lati marci. Ho ritrovato tanto della vita dei miei nonni nelle chiacchiere e negli appuntamenti al cimitero, nelle descrizioni di una religiosità soffocante e bigotta, ma avrei voluto sentire la città più viva e presente. Come un ennesimo personaggio sceso in campo. Come la Echo del recente e discreto Quando il diavolo mi ha preso per mano. Adorabile, invece, la coloritura dialettale che, spesso, i discorsi acquisiscono: Santino “il matto” e il suo italiano stentato, le parole di bimba di Rea, le litanie di una nonna con il rosario alla mano e con un pappagallo più aperto alle preghiere di una figlia orgogliosa e disubbidiente. I desideri sono cuciti su misura, ogni persona ne ha di diversi, e, personalmente, avrei voluto assaporare il gusto della leggenda, della fiaba nera. La scrittura di Miriam è lineare, sa dire tanto dei suoi personaggi, ma manca un po' di convinzione. Di un ruggito. Lato negativo, questo, ma positivo al tempo stesso: verso la fine, ho scoperto in Reborn un intreccio densissimo, in cui le tematiche sono tante e la carne al fuoco è tanta. Troppa? La reincarnazione, il rapporto genitori-figli, l'ateismo, il lutto, l'omosessualità. Una cosa è, tuttavia, palese. Miriam ha tante passioni, Miriam legge tanto: e, come dice Stephen King, leggere è il primo trucco per saper scrivere. L'abilità dell'autrice l'avevo capita una vita fa, dai suoi soli post. Ho visto, nel suo romanzo, spunti vari, e questo è bello. C'è un certo gusto per l'orrido, qualche scena onirica particolarmente riuscita, perfino un'elegante sensualità di fondo. Uno connubio di elementi classici, con uno stile che si amalgama, all'occorrenza, ai contenuti. Ha tanti dialoghi, ma una narratrice timida, mai ingombrante, discreta, dal tocco spiccatamente femminile. Miriam adotta la terza persona, ma è la voce di questa mamma “al limite” che prevale, generalmente. La voce della ragione. A volte, invece, in discorsi e supposizioni sul Dio Caos, ad esempio, sembra non prevalare nessun punto di vista in particolare, e Reborn pare perdere la sua personale dea: una narratrice che sia autentica. L'ultimo lavoro della Mastrovito, dunque, è un buon racconto, ma che avrebbe potuto far di più. Fare della nostra Puglia, magari, il setting degno di un Southern Gothic americano. Purtroppo, ci sono state cose che non mi hanno entusiasmato, e non l'ho nascosto all'autrice. Avevo finito quella famosa e lunga email con un consiglio, per le storie future: una maggiore cura nella costruzione delle ambientazioni e la ricerca di uno sguardo più soprendente. Da inguaribile amante della narrazione in prima persona e dei narratori insoliti, le avevo suggerito di affidare tutto a quel piccolo Dio beffardo, romantico e subdolo dal cappello a cilindro. Concludevo dicendo che, nella voce, aveva ed ha a disposizione tanti toni diversi. Veramente. E che mi dispiaceva nel profondo per lo sproloquio infinito e per le sporadiche critiche. Mi faceva strano. La sua risposta è arrivata venti minuti dopo, puntualissima: “Personalmente contavo sulla tua sincerità e l'ho apprezzata tantissimo, proprio per questo, oltre che ottimo recensore, penso di poterti considerare un amico. I complimenti fanno piacere indubbiamente ma le critiche motivate e i suggerimenti aiutano a migliorarsi per cui li accolgo a braccia aperte.” Sono giorni come questi – e parole come queste – che mi fanno capire perché adoro quello che faccio. Grazie, Miriam. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Cascade – Siouxsie And The Banshees

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