Tregua. Il segreto
di Ilaria Goffredo
Ed. Selfpublishing
Ebook € 0,99
TRAMAPuglia, gennaio 1943. Elisa ha diciotto anni, è una ragazza semplice e vive con il padre Vito e il fratello maggiore Antonio. La sua vita è scandita da una monotonia triste e a volte spaventosa: razioni insufficienti, sottomissione agli uomini di casa, rappresaglie delle Camicie Nere e bombardamenti alleati. Non sa cosa siano il mare, la libertà, l’amore, eppure la sua vita sta per cambiare. L’incontro con un uomo misterioso getterà ombre e dubbi sulle convinzioni della comunità del paese e su quelle di Elisa, sui suoi legami familiari. Anche la ragazza però cela un segreto: esso potrebbe rappresentare la fine dell’unica speranza che si affaccia all’orizzonte. In un romanzo che ha il sapore di sole e calce, terra e pane nero, la vita rincorre e sfida gli orrori della dittatura e dei campi di concentramento, spera nelle attività antifasciste e incassa le perdite. La storia di una ragazza che, costretta dalla guerra, dall’odio e dall’amore, diventa donna. Il ritratto di un’Italia che non c’è più. La coscienza degli eroi dimenticati che, con il loro contributo, hanno fatto grande la Storia.
Nella mia tappa vi parlerò, insieme ad Ilaria, di un argomento che forse non a tutti è noto, o che per lo meno spesso viene dimenticato, e cioè i campi di lavoro in Italia.
La seconda guerra mondiale è da sempre sinonimo della Shoah, il genocidio degli ebrei a opera dei nazisti - in ebraico Shoah significa catastrofe. Si fa presto però a dimenticare che anche qui in Italia ci sono stati campi di concentramento. Ve ne sono stati diversi lungo tutta la penisola, ma con un particolare concentrazione nelle regioni del centro-sud e, mentre Hitler faceva costruire strutture apposite, Mussolini cercava di risparmiare: si adattavano a campi vecchie costruzioni in disuso come cascine, macelli, scuole od ospedali. Non erano sistematici campi di sterminio come i campi tedeschi, ma la vita al loro interno non era una passeggiata: sovraffollamento, malnutrizione, lavori pesanti, malattie erano fattori comuni se non quotidiani. La gente all’epoca li chiamava campi di lavoro e nessuno sapeva per certo cosa accadesse al loro interno. Gli internati ebrei dei campi italiani del sud Italia provenivano spesso dai Balcani: erano soggetti che si era deciso di allontanare dalle famiglie e dall’ambiente natio per evitare che risultassero pericolosi. Elisa, la protagonista di Tregua, può dirci qualcosa di più dei campi di lavoro italiani.
1.fonte: www.majorana.martina-franca.ta.it
Visto quello che ci davano, mangiavo poco e male e mi sentivo sempre più debole. Ogni mattina, al suono di quell’odiosa sirena, mi alzavo e andavo a fare colazione, mi presentavo all’appello e se qualche volta la mia risposta non era immediata e a voce alta, le sentinelle di turno mi costringevano a cantare canzoni ridicole. Quindi, come se non bastasse, mi deridevano o riempivano di sputi, spogliandomi della mia dignità.
Andavo a lavorare e detestavo quelle dannate divise; sovente cucivo anche abiti civili di buona fattura. A volte, quando ne avevo la forza, pensavo a chi li avrebbe indossati. Erano soldati, felici di combattere per la patria? Avevano perso i familiari in quell’assurda guerra? Sarebbero morti tutti?
Dopo ore e ore in piedi, con gli occhi che mi dolevano e i piedi gonfi e pesanti, andavo a pranzo dove mangiavo una minestra slavata. Poi ancora lavoro, lavoro, lavoro. Ogni tanto la monotonia veniva interrotta da un lite che finiva in bastonate e nelle risa rozze delle guardie. Sempre più stanca, poi, trascinando me stessa, andavo al secondo appello dopo il quale mi attendeva la cena a base di duro pane nero accompagnato a volte da un paio di fette di un salume scuro o patate o una verdura non bene identificata. Seguiva un’altra notte scomoda rannicchiata contro Cecilia.
Quando i pensieri e le preoccupazioni erano più forti della stanchezza, sedevo sul sottile davanzale di una delle finestre opache e guardavo lontano. Imparai a riconoscere ogni dettaglio del paesaggio: dove finivano le torrette e il filo spinato, i profili dei rami più alti degli alberi del bosco, il punto del cielo che si illuminava per primo alla nascita del nuovo giorno. Con il tempo nuvoloso, sovente di sera le nubi più lontane assumevano, nella parte più bassa, una strana colorazione rossastra, come se fossero scaturite da un incendio. A volte pensavo che potesse trattarsi davvero di un incendio, magari di qualche bombardamento; altre volte invece mi convincevo che le nubi riflettevano le luci arancioni degli ultimi lampioni accesi prima del coprifuoco in paesi in cui le persone camminavano ancora libere.2. fonte: www.gioiadelcolle.info
Mi rammaricai più volte del fatto che quell’anno non sarei riuscita a fare le pulizie straordinarie a casa, soprattutto rinnovare gli strapunti dei letti. Ogni estate li svuotavo della paglia di granturco ormai vecchia, li lasciavo al sole, li sbattevo talmente forte da farmi dolere le braccia, li lavavo e li pulivo dai frammenti di paglia dopo che durante l’anno, ogni mattina, l’avevo rimossa solo con la forcella tenuta sotto il capezzale. Infine li riempivo di paglia nuova. Riuscivo quasi a sentirne l’odore rugiadoso e secco al contempo. Il materasso rinnovato era così alto e gonfio che papà ogni volta diceva di aver bisogno di una scala per coricarvisi.
Raramente veniva in visita al campo il podestà di Alberobello, Donato Giangrande. Ogni volta noi internati eravamo costretti a lucidare ogni superficie e ambiente, a renderci presentabili - per quanto losi potesse essere nelle nostre condizioni - e a disporci in maniera ordinata nel cortile d’ingresso per accogliere il podestà, il quale faceva una visita approssimativa del campo e ci osservava lavorare per poi intrattenersi a lungo con il commissario.
Alle volte le lavoratrici più esperte ricevevano piccoli regali ossia qualche foglio di carta per scrivere agli amici lontani - sebbene la posta venisse controllata -, oppure un rancio più abbondante, un bicchierino di grappa o la possibilità di accompagnare qualche miliziano a ritirare gli approvvigionamenti e fare un breve giro in auto fuori dal campo. Altre donne invece - seppur la loro identità non fosse nota - facevano le spie e chissà cosa ricevevano in cambio; fatto sta che ogni tanto una di noi veniva punita per aver giocato a carte o aver parlato male dei fascisti, cose che in teoria essi non avrebbero potuto sapere.
Soltanto di domenica mi era concesso lavarmi assieme alle altre detenute con l’acqua fredda del lavatoio. Il lezzo che ci portavamo addosso certo non svaniva con brevi abluzioni con un sapone inodore. In quei frangenti mi veniva in mente la pubblicità che una volta avevo visto su un giornale: una famiglia felice con il sapone all’olio d’oliva Palmolive, acquistabile a sole due lire.
Alcune detenute, una delle quali particolarmente garrula, erano state trasferite in una stanza al piano superiore. Ne ignoravo la ragione, tuttavia esse parevano non aver perso la voglia di vivere. Durante il lavoro le avevo viste alle volte nascondere nelle mutande o negli scarponcini rimasugli di stoffa, scarti di fili. Anna riteneva che volessero in qualche modo fabbricare una corda per calarsi dalle finestre del piano superiore e tentare la fuga. E forse pregressi tentativi di evasione erano la ragione per la quale erano state spostate. Pure Anna, incurante degli sguardi interrogativi che le lanciavo, raccoglieva di continuo pezze e fili, nonché qualche ago fingendo che si fosse rotto. E di notte più di una volta l’avevo sorpresa in bagno a cucire meticolosamente tra loro scampoli di stoffa. Ne aveva ricavato qualche maglia che aveva poi nascosto all’interno del suo materasso. Che si stesse premunendo in vista dell’inverno?
3. fonte: http://it.wikipedia.org
Di tanto in tanto, quando c’era modo e tempo di parlare e il costante desiderio di mangiare non annebbiava la mente, le donne si lasciavano andare a confessioni sussurrate che poi giravano tra le internate come succulente notizie, utili per distrarsi.
C’era una giovane ebrea, Dileha, innamorata di un internato polacco, Victor. A Victor, forse per proprio tornaconto, il commissario permetteva spesso di dedicarsi al suo mestiere originario: dipingere. Aveva il permesso di recarsi nella cappella deserta del campo e affrescarla con immagini sacre, utilizzando tuttavia soltanto pochi colori e strumenti indigenti. E così, alternando il lavoro nei campi, Victor dava vita a santi vestiti d’oro tra le ostili mura della casa rossa. Era persino riuscito a fabbricare un imponente lampadario di legno con i resti delle cassette per la verdura. Tutto ciò era sufficiente a suscitare l’ammirazione della bella Dileha e di molte altre donne.
Altre voci invece giuravano che qualche detenuta saltuariamente impiegata nel lavoro nei campi assieme agli uomini, pur con la stretta sorveglianza fascista, era riuscita a chinarsi, sollevarsi la casacca e fingere di raccogliere ortaggi mentre un internato alle sue spalle soddisfaceva bestialmente il desiderio sessuale di entrambi.
Tuttavia queste piccole rivincite di vita non erano sufficienti a dissolvere le brume del terrore. Ogni tanto si udivano fischi di treni in avvicinamento e nugoli di internati svanivano nel nulla; molto più raramente invece giungevano nei dormitori riverberi di spari attutiti dalla vegetazione del bosco. Nessuno si poneva domande né le poneva agli altri nel timore di ricevere risposte.
Immagini:1. Campo di concentramento "La casa rossa" di Alberobello, Bari2. Campo di concentramento presso ex Mulino-Pastificio "Pagano", Gioia del Colle.3. Campo di concentramento di Fossoli, Carpi, Modena
Vi ricordo tutte le tappe del blog tour:
1. Parole inglesi introdotte in Italia: ok
Blog: Ispirazione - Il blog di Ilaria Goffredo http://ilariagoffredoromanzi.wordpress.com
27/04
2. La violenza sulle donne protetta dalla legge
Blog: Divine ribelli http://divineribelli.blogspot.it/
29/04
3. I giochi di una volta
Blog: Connie Furnari http://conniefurnari.blogspot.it/
05/05
4. Campi di lavoro italiani
Blog: La biblioteca di Eliza http://labibliotecadieliza.blogspot.it/
12/05
5. Antichi sapori: il pane fatto in casa
Blog: Dietro la collina http://stefaniabernardo.blogspot.it/
19/05
6. Abbigliamento in tempo di guerra
Blog: Un’altalena di emozioni http://francescaghiribelli.blogspot.it/
26/05
7. L’accoglienza mediterranea
Blog: La stanza rossa http://lastanzarossa23.blogspot.it/
02/06
8. Manifestini: l’ironia contro il terrore
Blog: Libri in pantofole http://librinpantofole.blogspot.it/
09/06
Alla prossimaEliza