E’ forse quello che vi capiterà di provare restando per un pò immersi in quest’ultimo album del trio nippo-italo-americano, Blonde Redhead.
Formati dai milanesi gemelli Pace e dalla delicata Kazu Makino circa diciassette anni fa, sono ormai un’affermata band nel panorama indie rock mondiale (anche se molto spesso sottovalutata), e al loro ottavo album in studio cambiano ancora una volta rotta.
Partiti all’inizio sulla scia di band noise-sperimentali come Sonic Youth o D.N.A. (vedi il loro capolavoro degli esordi “La mia vita violenta”, ispirato a Pasolini) album dopo album hanno sempre più abbandonato quella furia stridente per un elegante e perenne inno alla bellezza, accompagnato da melodie eteree e voci sognanti, e come pochi sono riusciti a rendere onore a questo peculiare modo di vedere il mondo, ormai trascurato.
Ma qui, a differenza dell’ultimo bellissimo “23″, le chitarre sono ormai del tutto rimpiazzate da pesanti tastiere, e le melodie soffocate in lunghe suite electro-psichedeliche, e ipnotiche cantilene minimali, di un fascino ammaliante.
E’ sicuramente l’album più astratto e auitunnale di questa strana band, che tiene ancor’oggi in alto il valore di un certo inttelletualismo in musica, e di un’eleganza che ormai tutti abbiamo perso e che potremo ritrovare solo in un passato che non conosciamo più o nel fondo di noi stessi.