26 marzo 2013 Lascia un commento
Basti pensare agli emigrati di una nazione straniera che all’improvviso divengono nemici della terra che li ospita.
Il cinema ha gia’ offerto molti esempi in questo senso, campi di concentramento americani per giapponesi ma anche stranieri imprigionati in Giappone raccontati da Ballard in "L’impero del Sole".
E’ la storia di Masao o meglio e’ la storia di suo padre, emigrato coreano in terra giapponese, vista come i nostri emigranti vedevano gli Stati Uniti.
Uomo violento suo padre, un bellissimo Takeshi Kitano, anzi un vero e proprio pazzo furioso che nemmeno la guerra e’ riuscito ad ammazzare, abietto e senza scrupoli fondera’ una piccola ma redditizia azienda umiliando dipendenti e famiglia, impegnato a violentare donne e a generare figli su figli e una volta ricco, mettera’ a frutto denaro e violenza trasformandosi in usuraio.
La ricostruzione e il periodo postbellico faranno da contorno alle tragiche vicende familiari. Anni difficili di sacrifici e rinunce, la violenza sempre alle porte con la guerra di Corea e il delirio comunista che anche in Giappone mietera’ le proprie vittime, innocenti illusi che pagheranno duramente l’errore delle loro scelte sconsiderate.
Masao ricorda e nel racconto si svela sempre piu’ una catarsi non esente da rabbia e dolore.
Il sangue non e’ acqua? In fondo e’ questa la tragedia nella vita di Masao e la risposta arrivera’ stampata sulla sua pelle, piegato dal fallimento di superare un padre che senza pieta’ lo schiaccera’ senza possibilita’ di rivalsa.
Il film e’ straordinario e durissimo, specie per noi occidentali non abituati alla violenza non addomesticata del cinema orientale. Pieta’, disgusto, rabbia, tristezza, un’intera gamma di forti emozioni avvolge la visione e gran parte del coinvolgimento lo si deve a Kitano. Si Kitano, che attore incredibile…
Alla sua eta’ ancora affamato d’arte, entusiasta come un ragazzino, si annulla nel personaggio e lo trasforma in un aguzzino come poche volte si e’ visto sul grande schermo. Sa farsi odiare dal pubblico e durante il film ci si raccoglie nella speranza di vederlo morire nel modo piu’ doloroso possibile e quando si esce dalla fiction, cio’ che resta e’ l’ammirazione per un gigante del cinema. Se solo Hollywood non fosse quel circolo di compagnucci che in fondo da sempre e’, avrebbero dovuto dare ogni premio possibile a lui, anzi ne avrebbero dovuti inventare dei nuovi.
E’ che il suo cattivo ha la dignita’ e la potenza dello Scarface di Al Pacino, del cattivo tenente di Keitel, idea di una malvagita’ che da’ ragione a Golding e non certo a Rousseau ma in fondo questa e’ la caratteristica comune dei veri cattivi cinematografici e non solo a loro.
Finale amaro quanto l’intero film e sul quale si potrebbe anche aprire una discussione, certo e’ che da oggi ho un nuovo riferimento quando si parla di grandi interpretazioni.