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(BLOODY) SUNDAY POST. Quell’assurdo chiamato “missione di pace”

Creato il 10 ottobre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
(BLOODY) SUNDAY POST. Quell’assurdo chiamato “missione di pace” Il titolo del post c’entra nulla con il 30 gennaio del 1972. Allora i paracadutisti inglesi spararono all’impazzata sulla folla dei cattolici di Derry uccidendone 14. Quasi tutti i morti erano giovani, disarmati, inermi. Spararono anche a un tizio che sventolava un fazzoletto bianco scambiandolo per un terrorista dell’Ira ma quelli, si dirà, erano altri tempi e altre situazioni. Il vezzo di sparare, o di bombardare, civili e gente indifesa però è rimasto fino ad oggi ed è passato attraverso massacri sui quali si è ragionato poco, assunto posizioni “indecise”, avallato veti a risoluzioni di condanna dell’Onu. Sabra e Shatila, ad esempio o Gaza o Hebron o Dujail o Halabja o Bala Boluk e la provincia di Farah o piazza Tienanmen di cui si conoscono le immagini del dimostrante che ferma i carri armati ma non quelle che mostrano il massacro compiuto dall’esercito e dalla polizia cinese nelle vie laterali. C’è perfino qualche politico che definisce l’uccisione di donne e di bambini come “danni collaterali”, praticamente un farmaco scaduto. C’è chi ritiene le stragi “necessarie”, chi “inevitabili” chi, addirittura una “vendetta di dio” che rafforza il nostro essere atei perché di un dio vendicativo non sappiamo che farcene. Chi compie stragi a volte è un “messaggero di pace”, e questo ci lascia storditi. Non avendo mai ritenuto quella militare la virtù civile più alta, capita che imbattendoci in un uomo armato fino ai denti, la nostra considerazione per l’essere umano scenda ai livelli più bassi ma questo, si dirà, è un nostro limite visto che, ad esempio il terrorismo, non si combatte con la diplomazia né con una visita di cortesia (dicono loro). Accade così che uomini e donne vengano dotati delle più sofisticate apparecchiature belliche e inviati in qualsiasi parte del mondo a svolgere il ruolo di “messaggeri di pace”. Ci sembra di rileggere uno dei pensieri di Mao, quelli contenuti nel libretto rosso della nostra infanzia, che pressappoco diceva: “Se vuoi la pace prepara la guerra”. Detto, fatto; alla pace stanno pensando infatti le bombe intelligenti. Ci siamo sempre chiesti come una qualsiasi popolazione possa considerare “missione di pace” gente che arriva a bordo di tank e che porta addosso mitra, bazooka e bombe a mano invece di medicinali, cibo, acqua, libri, quaderni e matite. Non ci crederete ma non siamo riusciti a darci una risposta. E la rabbia aumenta quando non si sa esattamente a favore di chi quella missione si compie e quali siano le norme che la governano. Sentir parlare di “regole d’ingaggio” a proposito di una missione di pace non ci convince né ci convincerà mai perché significa che si è pronti a sparare al minimo sospetto e preventivamente. Perché i soldati italiani stiano ancora in Afghanistan è un mistero. Perché siano schierati a favore di un presidente che ha vinto le elezioni grazie ai brogli lo è ancora di più, perché le nostre armi siano messe al servizio di gente che fa chiudere gli ospedali (ospedali non caserme), rasenta la sindrome da immarcescibile amore per la guerra. Ci piacerebbe chiedere a un bambino di Kabul cosa ne pensa dei militari che vede girare per la sua città imbracciando mitragliette, ma sarebbe una domanda stupida a fronte di una risposta scontata. Il ministro La Russa, a cui piace evidentemente molto menare le mani, è ancora convinto della bontà della “missione di pace” italiana in Afghanistan. 34 morti per lui non sono ancora sufficienti per “sedersi da vincitori al tavolo della pace”. E se uno prova a chiedergli “ministro ma non è ora di tornare a casa? Per chi stiamo combattendo e soprattutto, per cosa?” si prende dello “sciacallo”. Caro ministro, questa è una di quelle occasioni in cui se lei per sciacallo intende una persona che rifiuta la guerra come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, le confessiamo che un po’ sciacalli lo siamo. Peccato che lo dica la Costituzione di un paese sulla quale lei ha giurato.

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