Compito arduo riassumere nel breve spazio di un articolo un problema storico della portata di quello che mi appresto ad affrontare, su cui sono state scritte opere di centinaia di pagine e su cui si è misurato persino un intellettuale fondamentale per la cultura italiana come Benedetto Croce.
Perché, una Repubblica nata (grazie alle armate francesi ed a un pugno di idealisti votati ad utopie illuministe) nel mese di gennaio, finì di fatto a giugno e fu dichiarata ufficialmente morta in luglio, pur in così poco tempo invece di essere una meteora effimera ha mosso problemi fondamentali per il meridione italiano e l'Italia tutta, determinandone i destini successivi per tempi lunghissimi.
Ma dovendo condensare al massimo un così ponderoso argomento, preferisco procedere per "flash", mettendo il riflettore per alcuni momenti (che una pretesa biografica sarebbe assurda in uno spazio così compresso) su alcuni personaggi e parlando di loro, attraverso di loro, far apparire le problematiche fondamentali.
Senza il "movente" dell'odio inestinguibile (e pessimo consigliere) di Maria Carolina nei confronti dei giacobini, tutti gli accadimenti fra il 1798 e il 1801, sarebbero inspiegabili. Due imprese militari (1798 e 1801) dell'esercito borbonico concluse con disastri, la prima attirando un contrattacco francese che arrivò fino a Napoli, inducendo il re con la corte a fuggire in Sicilia sotto la protezione britannica, aprendo così la strada alla Repubblica di cui stiamo parlando. La seconda dopo una ulteriore sconfitta e il successivo trattato di pace (pace di Foligno, 1801) ebbe il pregio di far finire la "mattanza" (peraltro, già in gran parte compiuta) dei giacobini meridionali e pose il regno di Napoli sotto una egemonia francese che poi, dal 1806 alla "restaurazione" del 1815, assumeranno direttamente il trono di Napoli con Murat.
Un odio furibondo ed irrazionale, spiegazione prima della ferocissima repressione borbonica dopo la caduta della repubblica, o meglio della vera e propria vendetta di Stato, che massacrò e disperse per il mondo i migliori intellettuali meridionali (parte uccisi dalla furia del popolaccio filoborbonico, parte da esecuzioni sommarie, molti, se ne ricordano 124, impiccati o decapitati dopo processi-farsa, moltissimi esiliati, fuggiti o finiti in carceri orrende), un danno da cui il meridione italiano non si è mai riavuto e che ha fatto si che il Risorgimento fosse poi tutto condotto dal settentrione e che questo nord si ponesse in un atteggiamento di incomprensione che ha contribuito anch'esso alla cronicizzazione dell'arretratezza meridionale.
Invece, Nelson e la regina stracciarono quel patto e fecero arrestare tutti, coprendosi di disonore. Tanto era evidente l'infamia che il Cardinal Ruffo (un personaggio che affronteremo tra poco) si oppose con forza allo spergiuro, rischiando persino di essere arrestato e se un uomo reazionario e spietato come Ruffo reputò quel venir meno ai patti un'infamia, significa che lo era al di là di ogni dubbio.
L'ambiguità britannica nel 1799 (io ritengo inutile indulgere in spiegazioni "romantiche", come l'influenza di Lady Hamilton, perché le ragioni strategiche di fondo sono evidenti) ci deve far riflettere sull'eterna influenza di qualche potenza esterna (a volte le stesse, altre nuove) in ogni vicenda italiana, facendo gli interessi di quella potenza. E infatti nel 1860 saranno proprio i britannici ad affossare i Borbone, agendo in modo diametralmente opposto al 1799, coprendo con le loro navi ai cannoni napoletani lo sbarco di Garibaldi a Marsala e poi addirittura nella decisiva battaglia del Volturno fornendo alcuni esperti cannonieri della Royal Navy al servizio delle artiglierie garibaldine.
La regina Carolina lo voleva morto a tutti i costi, perché diceva che l'ammiraglio conosceva alla perfezione ogni buco ed anfratto della costa del regno, per cui vivo era un pericolo permanente.
Nelson si prestò alla disonorevole incombenza, fece processare Caracciolo da un tribunale di bordo e lo fece impiccare alle alberature della sua nave come fosse un pirata. Caracciolo affrontò la morte
imperturbabile. Ad ulteriore disonore di Nelson, il cadavere di Caracciolo fu gettato in mare e solo la fortuna che lo lasciò galleggiante e mani pietose che lo raccolsero consentirono di dargli poi una degna sepoltura.
Infatti, mentre le popolazioni del nord italia avevano già le caratteristiche proprie del proletariato, quindi una coscienza di classe determinata dall'avere un lavoro salariato stabile e ben determinato, le plebi meridionali incarnavano quel sottoproletariato che è sempre preda della reazione, in quanto vive "alla giornata", di espedienti, di lavoro bracciantile nei latifondi, di elargizioni di elemosine ecclesiastiche o di ricchi, per cui non ha coscienza di classe ed è portato a seguire chiunque gli dia l'illusione di elargire o poter elargire, oltre a nutrire un inestinguibile odio per chi ha una cultura e sembra voler mettere in discussione uno stato delle cose da cui il misero si illude dipendere il poco pane che lo fa sopravvivere.
Tutto questo spiega l'odio furibondo di queste masse miserevoli per i giacobini, ma poi molti decenni dopo per il movimento risorgimentale, dal massacro dei trecento di Pisacane allo, schierarsi a favore dei Borboni contro Garibaldi nel 1860, alla stagione sanguinossissima del cosiddetto "brigantaggio" almeno fino al 1865.
Sagacemente Garibaldi nel 1860 sbarcò in Sicilia, perché quella terra era un caso anomalo, considerandosi un regno indipendente occupato dai Borboni, cui si ribellò ripetutamente.
Ma il resto del meridione era ben diverso, con popolazioni sempre pronte a manifestare fedeltà ai Borboni e una fragile classe intellettuale che ha generato un piccolo, isolato nucleo di menti valentissime. Basti pensare che nel 1860 solo 80 (ottanta!) napoletani (Napoli era allora la piu' popolosa città d'Italia e una delle piu' popolose di Europa) si unirono come volontari a Garibaldi.
E la già richiamata repressione del "brigantaggio" dal 1861 al 1865 per avere successo dovette essere effettuata con una durezza ben maggiore di quella usata nel 1799 dai repubblicani di Napoli e
dall'esercito francese.
soldati ed autentici briganti in generali, convinti di difendere la "santa fede", tanto da passare alla storia con il nome di "sanfedisti".
Eterna condanna del sud Italia (fino ai giorni nostri) di generare sempre masse pronte a schierarsi con le forze piu' retrive ed oscure, pronte a combattere contro altri meridionali che invece con chiarezza di idee, alto senso morale e coraggio personale, si sono sempre battuti per il riscatto e il progresso del sud.
E con questo penso di aver tratteggiato quelle poche linee che possono servire se non a chiarire una vicenda storica così complessa e importante, almeno a incuriosire e focalizzare gli argomenti da approfondire, per chi vorrà farlo nella sterminata bibliografia al riguardo, di cui segnalo solo l'immortale saggio storico sulla rivoluzione napoletana di Cuoco, il quale ha il pregio di essere stato protagonista degli avvenimenti e di aver scritto immediatamente dopo di essi.