Magazine Cultura
È da molti anni che alla fine dell'anno infilo un foglio A4 nella macchina per scrivere e batto i tasti della classifica dei miei dischi preferiti. Alla fine degli anni settanta quella lista finiva al Mucchio Selvaggio, che tradizionalmente in febbraio pubblicava i preferiti di ogni redattore assieme alla classifica dei lettori. Era una grande occasione per avere una manciata di consigli su cose che potevano esserci sfuggite, e di quei tempi i dischi buoni non facevano difetto. Molti anni dopo ho preso l'abitudine di stilare quella lista per il mio blog, che all'inizio di intitolava Texas Tears (dal nome di una fanzine che avevo messo assieme credo nel 1985) e poi BEAT (un po' da Kerouac, un po' dai Beatles ed un po' dai King Crimson). Sul blog ho l'opportunità di aggiungere un po' di parole all'elenco dei miei dischi preferiti, ed avere chi mi legge è un privilegio che reputo impagabile. Alla fine tutti scriviamo per essere letti, o, come ha detto qualcuno, per essere trovati. Il 2011 è stato un grande anno musicale per me, nonostante ascolti musica con passione da tanti decenni. Il 2011 è stato per me un anno determinante anche come persona. È l'anno in cui sono stato messo a knock-out, in cui mi sono rialzato e in cui ho ripreso a camminare, walk like a man, camminare come un uomo, direbbe il mio amico di Asbury Park. È stato l'anno in cui ho attraversato il purgatorio per arrivare al paradiso. Ho cercato e trovato il coraggio di lasciare una vita che aveva preso una direzione sbagliata e ricominciare tutto da capo. È stato l'anno in cui mi sono trovato solo, in cui tutto ciò in cui credevo pareva non avere più valore, l'anno in cui ho conosciuto la disonestà, il tradimento, la solitudine, l'anno in cui ho capito cosa significa il vecchio blues "nobody wants you when you're out and down", l'anno in cui ho dovuto riscrivere la lista dei miei amici, in cui ho dovuto guardarmi negli occhi allo specchio per trovare la fiamma; ma non ho rinunciato neppure per un attimo ai miei valori ed alle cose in cui credo, ed anzi proprio a quello mi sono aggrappato. L'anno in cui ho vissuto nella mia Big Pink nella mia Woodstock, anche se la casa è gialla e il basement è sotto il tetto e Woodstock la via Emilia. L'anno in cui potevo scoprirmi da solo sotto la pioggia, ma proprio in quel momento mi sentivo più umano e più vivo che mai, più felice di vivere ed affamato d'amore. L'anno in cui dopo troppo tempo ho ritrovato la felicità e le cose che contano. Un anno fa a Natale mi sentivo come Dan Aykroid vestito da babbo natale che fa cilecca con la pistola. Questo Natale tocco il cielo con un dito. Mica male per un anno solo. Ho ascoltato tantissima musica, posso dire di non averla mai spenta, ho sentito la musica vicina alla mia anima come in ogni momento importante della mia vita, e la musica non mi ha mai tradito.
Ed allora partiamo con questi dischi del 2011. Partiamo dalle canzoni, perché non ho ancora perso l'entusiasmo per la singola canzone di quattro minuti, che come dice il mio amico è l'essenza del rock & roll; lo stesso entusiasmo di quando infilavo a ripetizione le monete nel juke-box per ascoltare la canzone che mi riempiva di gioia, oppure di quando a sedici anni rimettevo incessantemente la puntina su Rebel Rebel di David Bowie fino a consumarne il dischetto arancione marchiato RCA.
Di canzoni non belle ma bellissime quest'anno ne ho sentite parecchie. La migliore è firmata da Vic Chesnutt, oscuro e tragico eroe degli anni zero, cantata dalla voce profonda, ieratica e superba di Margo Timmins dei Cowboy Junkies. La band canadese dei fratelli Timmins ha voluto dedicare a Chesnutt un disco di 11 canzoni che portano la sua firma, Demon. La più bella in assoluto è Flirted With You All My Life, ho flirtato con te per tutta la mia vita, che a dispetto della sua tragicità (la lei della canzone è la morte, il suicidio, che Vic avrebbe affrontato di li a poco) è di una bellezza ed una potenza da lasciare senza fiato. I Junkies sono una band di assoluto fascino, ma con le canzoni di Vic, migliori di quelle scritte in proprio, arrivano allo zenit della propria produzione. Primo posto delle canzoni e secondo degli album.
Segue un'altra cover, di un altro autore che non è più tra noi, lo sfortunato Eddie Hinton, chitarrista e cantante ai FAME Studios in Alabama, assieme a miti come Duane Allman. La canzone è il rithm & blues bianco di Everybody Needs Love, da brivido, e la versione con i fuochi d'artificio è quella dei Drive-by Truckers, che con i FAME Studios hanno un legame addirittura genetico. Le altre canzoni dell'album non sono sfortunatamente sullo stesso livello, ma il singolo è la seconda migliore canzone dell'anno. Segue Desert Raven di Jonathan Wilson, rock lisergico da Laurel Canyon, LA, California. Un masterpiece da Stephen Stills o da Quicksilver Messenger Service, splendida canzone, album epocale - specie per gli anni dieci. Sulla recensione l'ho paragonato ad Astral Weeks. Primo posto degli album dell'anno.
Un album tutto pieno di ballate bellissime (e suonate molto bene) è Ashes & Fire di Ryan Adams. La canzone migliore sceglietela voi, può essere Dirty Rain come qualsiasi altra, il livello è altissimo. Io dico I Love You But I Don't Know What To Say. Quarto album in classifica è Low Country Blues di Gregg Allman, un distillato di grandissima classe che ancora cresce ad ogni ascolto, fra blues suonati con strumenti veri e non sintetici. E un vecchio cuore pieno di cicatrici. Da Allman a Booker T Jones il passo è breve; il tastierista della band della Stax (i Booker T and the MGs, quelli di Green Onions) ha creato un disco che è un vero distillato di R&B, secco, essenziale, senza tempo, con cantanti del calibro di Lou Reed, dedicati alla propria città, Memphis Tennessee (anche se la canzone di Reed, ovviamente, si intitola Bronx). Quinto posto.
Una manciata di belle canzoni anche sul disco di John Hiatt, prima fra tutte quella Train To Birmingham che tanti anni fa aveva donato a Kevin Welch. Nei pezzi migliori il disco di Hiatt non sfigura a ruota della trilogia degli anni ottanta: Bring The Family / Slow Turning / Stolen Moments.
Con che dischi arrivare a dieci? Warren Haynes Man In Motion, il disco R&B è molto buono, anche se non so perdonare a Warren di disperdere il suo talento. La sezione ritmica non ha il calore dei Gov't Mule ma, puntando ancora più in alto, perché non portare questo gran materiale a Gregg e gli altri per un disco degli Allman Brothers Band?
Lucinda Willams Blessed è tosto, anche qui un brano è dedicato a Vic Chesnutt. Buono anche se è ormai evidente che il meglio è dietro le spalle. Infine Lou Reed + Metallica Lulu. Un'opera importante, largamente imperfetta, che ha risvegliato tutta quella polemica che solo Reed è capace di generare. Sarebbe bastato poco, un po' di umiltà e un paio di forbici, per farne un capolavoro, ma l'arte è così: scomoda.
Ma non è ancora tutto per il 2011. Ci sono altri dischi che per qualche motivo mi piace tenere a parte, in una classifica alt(ernativa) di classic rock. Il primo è il doppio live dell'immortale Peter Hammill. Potrebbe essere il disco dell'anno, ma il fatto è che non appartiene al 2011, né al 1970 né al 2222. Hammill è un vero artista, che vive in un altrove, sia di genere (è rock questo? Naaaa), sia di tempo. Uno spazio tutto suo dove non merita niente meno del numero uno.
Poi le stampe dei due migliori live dei Rolling Stones, quello del 1973 a Brussels (con Mick Taylor) e quello del 1978 in Texas (con Ron Wood). A cui mi piace aggiungere solo due canzoni, non di più ma neanche di meno, dal disco di inediti che ha accompagnato la ristampa di Some Girls. Sono due cover, ma molto belle, che idealmente immagino i due lati di un 45 giri che non è mai esistito: la ballata country di We Had It All che Keith Richards ripulisce magistralmente di tutte le buzzurrate country & western per lasciarne solo il cuore pulsante, backed with un rock & roll sfrenato e sguaiato cantato da Mick Jagger, Tallahassee Lassie.
Ancora live dal passato: i Rockpile di Nick Lowe e Dave Edmunds alle prese con il loro leggendario live show registrato nel 1980 a Montreux. E infine la ristampa extended di Wish You Were Here dei Pink Floyd, il cui secondo disco riporta le mitiche registrazioni a Wembley 1974 dei pezzi che anni dopo sarebbero diventati parte di Animals.
Last but not least, gli italiani. Parlo solo per quelli che ho sentito ovviamente; nessun disco cantato in italiano, ma da Little Italy voglio segnalare lo show di Live For The Working Class di Daniele Tenca, ricco come un Blasters d'annata, ed il disco elettrico di rock rurale e di rock romantico di Cesare Carugi, Here's To The Road.
Long May You Run.
top ten albums:
Jonathan Wilson > Gentle Spirit
Cowboy Junkies > Demons
Ryan Adams > Ashes & Fire
Gregg Allman > Low Country Blues
Book T Jones > The Road From Memphis
John Hiatt > Dirty Jeans and Mudslide Hyms
Warren Haynes > Man In Motion
Lucinda Williams > Blessed
Drive-By Truckers > Go-Go Boots
Lou Reed + Metallica > Lulu
alt.classic:
Peter Hammill > PNO GTR VOX
Rolling Stones > The Brussels Affair 1973
Rolling Stones > Live In Texas 78
Rockpile > Live At Montreux 1980
Pink Floyd > Wish You Were Here
italia:
Daniele Tenca > Live For The Working Class
Cesare Carugi > Here’s To The Road
songs:
Cowboy Junkies > Flirted With You All My Life
Drive-By Truckers > Everybody Needs Love
Jonathan Wilson > Desert Raven
Ryan Adams > I Love You But I Don’t Know What To Say
Rolling Stones > We Had It All / Tallahassee Lassie
concerti:
Hot Tuna, Black Crowes, Paul McCartney, Warren Haynes...
libri:
Nick Kent > Apathy For The Devil
film:
Woody Allen > Midnight In Paris
dedicato a:
Vic Chesnutt
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