Il metro di giudizio con cui andare a misurare "Blue Jasmine", strano a dirsi, ma dovrebbe arrivare obbligatoriamente da quello che è stato il miglior Woody Allen della storia recente, ovvero quello che ha diretto il gioiellino di "Midnight in Paris".
Decisivo infatti sarebbe capire se quel lavoro per il regista sia stato frutto di un illuminazione temporanea, residuo dei tempi perduti, oppure padronanza di un talento ancora vivo, ma al quale, per agire in forma, serve un respiro più lungo e profondo di prima. Perché se il Woody Allen visto a Parigi è da ritenersi tutt'ora in attività allora "Blue Jasmine" è un opera che gode decisamente di tono inferiore e meno incisivo, mentre invece se considerassimo quell'uscita unicamente un lampo, una mosca bianca, potremmo attribuire a quest'ultima fatica l'etichetta di lavoro discreto e piuttosto passabile, un ritorno in pista, diciamo, prendendo atto del fiasco compiuto con il disorientato "To Rome With Love".
Supposizioni a parte, la notizia buona comunque è che Woody Allen la sua bussola l'ha ritrovata e che, nonostante l'età, la capacità di scrivere storie in maniera spedita, focalizzata e terapeutica è rimasta intatta, assolutamente invariata. "Blue Jasmine" non può che essere una pellicola la cui paternità è da attribuire a lui e a lui solamente, sia per come segue la crisi nevrotica e psicologica della sua protagonista - che dal lusso si ritrova a dover fare i conti con la povertà per via di uno scandalo finanziario che colpisce il marito - e sia per come si fa gioco dei suoi personaggi, simulando caparbiamente casualità e ironia drammatica della vita. Tuttavia, a far maggior rumore, è la scelta di mettere davanti al pubblico una protagonista tra le più negative, fastidiose e antipatiche che il cinema alleniano abbia mai abbracciato: una donna fragile, ingenua, fuori di testa, incapace di essere autosufficiente e di rialzarsi da terra per ricominciare a camminare da sola, sbilanciata da un tornado che l'ha portata in cima alla montagna con la stessa, identica, rapidità con cui poi l'ha fatta cadere.
E' un carattere, a suo modo, molto complesso, stratificato e volubile quello di Jasmine, interpretabile probabilmente solo da un attrice straordinaria e intensa come Cate Blanchett (in una delle prestazioni migliori della sua carriera). Destreggiandosi tra depressione, pazzia, rabbia e dolore l'attrice riesce ad imprimere un ritratto piuttosto accurato della psicologia del suo personaggio, ne delinea un contorno nitido, inventa duetti perfetti con la sorellastra meno fortunata e dai piedi per terra (interpretata da Sally Hawkins) e tramite il sussurro di alcuni indizi, lascia a noi il compito di intercettare un passato remoto da aspirante antropologa, antecedente all'incontro con l'imprenditore Alec Baldwin che da giovane gli spalancò le porte oscure della ricchezza, del vizio e dell'alta società.
Alternato su due piani narrativi (presente-passato) che si danno il cambio procedendo a intervalli irregolari, il duro dramma messo in scena da Woody Allen però non è altro che un generico teorema sul processo di evoluzione messo a segno da un devastante shock psicologico, la cui derivazione, tra l'altro, è decisamente relativa. "Blue Jasmine" purtroppo è prevedibile, manca di un vero picco, di un colpo di coda alla "Match Point" e di quel pizzico di ironia o di cattiveria ficcante in grado di marcare ulteriormente il passo. Ha "solo" una Cate Blanchett dalla bravura disumana a prenderlo sotto braccio ma, per quanto incredibile lei sia, l'insieme non è proporzionato per sostare al di là di una stiracchiata sufficienza.
Che ovviamente non vediamo l'ora di alzare non appena l'Allen di Parigi decida di rifarsi vivo.
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