Simmia il Tebano, ad un certo punto del Fedone – o della sua vita letteraria all’interno del mondo ideale di Platone (fate voi) – pone in dubbio l’effettiva immortalità dell’anima appena promossa da Socrate. Lo fa con un argumentum piuttosto debole, a dire il vero: «almeno a mio parere: sul tema “armonia”, “lira”, “corde” uno potrebbe sostenere una teoria identica. Ecco qua: l’armonia è un non visibile, un incorporeo, splendida divina entità nella lira accordata; l’altra, invece, la lira, e le sue corde sono carne, cose carnali, terrigne, composite, parenti di quanto ha in sé la morte.».
Da questa assimilazione “Accordo – Anima , Strumento – Corpo” e dalla ovvietà del non ritenere il suono – l’accordo – prodotto dallo strumento, come sopravvivente alla distruzione dello strumento stesso che lo ha generato, Simmia ne deduce, abbastanza stupidamente, che l’anima, non sopravvivendo per l’appunto al suo corpo, non è immortale.
Non c’era certo bisogno di Socrate per confutare tale teoria. La similitudine tra Anima e Corpo è abbastanza vacua e insussistente, assodato che mentre l’Anima governa il corpo, Il suono è assolutamente conseguente allo strumento che lo produce. Detto ciò, chiarisco al lettore che non è su questo punto che verte l’interesse del nostro scrivere. La perplessità, ciò che ci spinge a sprecar tempo per scriverne, prende spunto da alcune parte incidentali della risposta di Socrate, precisamente queste:
«Che ne pensi, Simmia, di questo punto di vista: ti pare che a un’armonia o a qualche altra forma di composizione sia concesso trovarsi in diverso stato da quello in cui stanno i loro elementi?».
E ancora:
«…perché un’armonia perfettamente tale, “armonia pura”, neanche una goccia può avere di disarmonia.».
Da tali due affermazioni se ne ricava che il filosofo Ateniese ritiene l’Armonia come un qualcosa di perfetto – che non contenga disarmonie – una situazione “ben regolata” che fugge il “disordine”.
Il lettore mi concederà l’ennesima citazione da “premessa”, in merito alla definizione di Armonia:
“L’armonia è il ramo della teoria musicale che studia la sovrapposizione “verticale” (simultanea) dei suoni, la loro reciproca concatenazione (accordi) e la loro funzione all’interno della tonalità. (wikipedia).”
La stesa fonte è lucidissima nel porre chiarezza sulle date distinzioni interpretative in base alle epoche storiche: “…sin dall’inizio Per gli antichi greci, armonia significava gamma e logica successione di suoni.”
Ebbene, probabilmente Socrate non avrebbe mai parlato così, se solo Platone avesse ascoltato un po’ di blues, sia chiaro. Simmia e Socrate, in sostanza, ignorano l’esistenza della “blue note”, una nota quasi dissonante, dunque disorganica (disarmonica?), innestata in un contesto di purezza tonale. Una nota possibile sia in maggiore che in minore, un indefinibile possibilità dai tratti caratteristici dell’infinitudine. Se vogliamo perseguire nell’errore del filosofo tebano, un elemento mortale già all’interno dell’anima, a prescindere dello strumento che ha fornito il suono in questione. La cosa si fa interessante quando, per puro caso e coincidenza, si fa rilevare l’istintività della musica blues e la sua stretta dipendenza dallo stato emotivo che la genera. Un legame strettissimo con l’Anima (Soul), dunque. Il suono dell’anima che canta – pur con ironia – le piaghe del corpo, questo è blues, più o meno.
Vogliamo fare qualche esempio?
Se il blues di B.B. King è un invito a lasciarsi andare, su quelle plettrate vagheggianti un dissonante eterno su cui l’anima sembra danzare le forme dell’acqua; Eric Clapton è più “serio”, impegnato, pur non mancando di quella spensieratezza che è la chiave del blues.
Clapton sembra più studiare la tecnica, prestando meno attenzione alla spontaneità e alla “nota impazzita”, non si fa trasportare da quell’istinto ironico, svelando più il tipico lato malinconico che si nasconde dietro le sonorità in questione.
In realtà la ragione del posato Eric e l’emotività di B.B. King, sono due modi diversi ma complementari di interpretare la magia del blues.
Il modo di concepire e interpretare questo stile si discosta, anche a seconda della sua attinenza territoriale. Il Re e Clapton in fondo si somigliano parecchio (malgrado gli oceani), per stile e per eleganza, ma basta scendere verso il Delta del Mississippi per sentire l’odore della terra riarsa dal sole, una sorta di maggiore genuinità. Il rustico poi talvolta cede il passo alla frenetica vita cittadina: Chicago, ad esempio, di cui è simbolo Muddy Waters. Il british blues invece ha quel certo piglio di raffinatezza, che si unisce a tratti ad atmosfere jazzy e beat. Proprio da queste cose si è evoluto il blues moderno! Passionale e carico di sentimenti, si rifà non certo più alla condizione di asservimento, quanto alla ribellione nei confronti di una società che limita la piena espressione dell’uomo e lo priva di libertà, se non fisica, quantomeno mentale.
Continuamente nuove sfumature arricchiscono questo genere per renderlo sempre più vicino al mondo che ci sovrasta ed è immanente alle nostre quotidianità, non solo musicali; come un modo per far sì che quella nota impazzita si collochi sempre meglio nella mente dell’ascoltatore imperituro.
Non è opera di questo scritto quella di mettere in dubbio la validità delle concezioni platoniche e la giustezza di una ricerca che persegua la spoliazione dell’anima delle scorie mondane; d’altro canto raggiungere una purezza che escluda del tutto la caduca corporeità, è concezione posta in dubbio pur dalla contraddizione cristiana:
“Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.” (Tessalonicesi 5, 23)
“poiché la vita è più del nutrimento e il corpo più del vestito.” (Luca 12, 23)
Forse una delle cose più belle che sono state dette “per” l’uomo, è proprio questa. La deificazione della nostra natura umana, l’ambizione all’ultraterreno, non deve e non può trascurare entrambe le manifestazioni: corpo e anima. Le blue notes diventano particelle impazzite, inconcepibili, di derivazione divina. Note che non potrebbero stare dove si trovano e che se vengono “poste male” stonano subito, note che necessitano non di uno studio tecnico, per una loro giusta applicazione, ma dell’input istintuale che è proprio dell’anima. Platone e Aristotele che si rincorrono, qnche questo è il blues!
Ire, Gae & Babar