Una cattiveria commovente e una lascivia epica. Canzoni così emozionano come una bella canzone d’amore. Non si capisce perchè se si canta l’amore nelle piccole cose è poesia, e se nelle stesse cose si canta l’odio è spazzatura. Viva l’odio quotidiano, quello che dura 5 minuti, ti fa bestemmiare e fare a bastonate ma ti evita la guerra, come recita un canto popolare toscano di Sandro Borgoni, “il cieco di Castel del Piano”:
“Che avete da spartir? non vogliam liti,
Dissero, e tosto presero il bastone;
Senza ascoltar ragion, pronti ed arditi
Con quello strambussaronli il groppone.
Giovò tal medicina, e a suon del legno
La pace entrò fra lor, cessò lo sdegno.”
I Blue Vomit (uno dei nomi di gruppo più orginali e riusciti di sempre) trascinarono il nichilismo punk hardcore dei primi anni ’80 italiani contro la buona coscienza degli italiani addomesticati e della borghesia torinese, città che hanno stigmatizzato in “Vivo In Una Città Morta”: rabbia pura, senza filtri letterari o sovrastrutture di sorta. Accomunabili ai Nerorgasmo per lo spirito incendiario e agli Skiantos per l’antipoetica di fondo, suonano e scrivono canzoni peggiori di entrambi, e questo rende l’ascolto delle loro brevi canzoni-cazzotti paradossalmente un’esperienza ancora più viscerale e con scappellamento a destra e parecchio antani, quindi vaffanculo se eravate qua per una recensione blablabla e ascoltate il pezzo, “bastardiiiiiiiiii”!