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Più o meno tutti noi (rocker italiani) abbiamo conosciuto Bob Seger & The Silver Bullet Band nei giorni del suo picco creativo, fra quel live imprescindibile che fu Live Bullet e i due capolavori di Night Moves e di Stranger In Town. Erano i secondi anni settanta, giorni fra i migliori della musica rock e della nostra vita, i giorni del Mucchio Selvaggio. E fu colpo di fulmine, fra i rocker italiani e Seger; una sorta di Brice Springsteen blue collar, più ingenuo, proletario, blue collar, grezzo rocker dei grandi laghi. Quello che allora non sapevamo è che quei glory days avrebbero rappresentato anche il canto del cigno di Seger: il rocker di Detroit, Michigam, aveva sulle spalle già un decennio abbondante di dischi, e il meglio lo aveva dato.
Già il secondo doppio dal vivo, Nine Tonight, non era che la pallida ombra del glorioso Live Bullet di soli cinque anni prima.
Da Against The Wind a The Distance, Like A Rock, The Fire Inside è stata tutta una discesa. Pochi dischi spalmati in periodi lunghi, poche belle canzoni, molti - troppi filler, arrangiamenti pesanti anni ottanta per truck drivers. Quante canzoni belle negli ultimi trent’anni? Stanno sulle dita di una mano.
Poi il ritiro, per vivere la vita (e spendere il gruzzolo duramente guadagnato) con la moglie ed il figlioletto. Un’apparizione con il Greatest Hits, che conteneva la cover di You Never Can Tell di Chuck Berry (già recuperata, per altro, da Quentin Tarantino) e In Your Time, dedicato proprio al figlio. Un disco, anemico, nel 1995 (19 anni fa!), It’s A Mistery con una canzone decente (By The River), dieci anni per un seguito con Face The Promise (il più brutto di tutti), un ritorno on the road solo in America (Seger ha paura di volare, ma sopratutto ha paura di confrontarsi con il mondo fuori da casa sua e dalle sue abitudini) e oggi un indeciso ritorno con Ride Out, che forse vuole essere un addio.
Quando ho visto la copertina ho pensato il peggio, con la foto stereotipa della Monument Valley virata in azzurro (o in rosso, a seconda dell’edizione), che una copertina più brutta e new age da supermercato l’hanno fatta solo i Pink Floyd con il disco degli scarti. Per cui non mi aspettavo nulla; aggiungiamo che non c’è la gloriosa Silver Bullet band, che la produzione è di Seger stesso, e che il suono è un sonoro ingenuo rock da camionisti. In più c’è chi mi ha detto (inizia con Z e finisce con ambo) che si trattava di un disco smaccatamente commerciale. Distribuzione scarsa, stampa solo americana, niente digitale (iTunes e Spotify) perché Seger è della vecchia scuola: diciamo che il disco l’ho comprato solo per amore ostinato verso una vecchia fiamma che non riesco a smettere di rimpiangere. Ma ho fatto bene, altroché se ho fatto bene, perché Ride Out (veniamone fuori) mi è piaciuto parecchio, ma proprio parecchio.
È vero: è un disco semplice, è vero: è arrangiato ingenuamente, con tanti lustrini, fiati e chitarre e cori. Come i Rolling Stones dei bei tempi, insomma. È ricco di cover, perché le canzoni al vecchio leone non escono più facili come una volta; ma che cover! Ed anche le canzoni sue, mica male, proprio mica male.
Il primo pezzo è Detroit Made di John Hiatt, un rock’n’roll con i fiocchi, di quelli che trasmettono alle radio del mid-west.
Le altre cover sono The Devil's Right Hand di Steve Earle (scusate se è poco), Adam and Eve è un folk molto carino, di un gruppo australiano, in stile Seeger Sessions, California Stars è una bella canzone di Wilco / Woody Guthrie arrangiata un po’ alla ultimo Springsteen con tanto di violino.
Delle canzoni autografe, Hey Gypsy è un blues veloce e aggressivo, You Take Me In è radiofonica orecchiabile, All Of The Roads è una bella evocativa ballata che mi mette i brividi, Listen è acustica, vivace e bella (“you can hear if you listen”, puoi sentire se ascolti) con la fisarmonica, The Fireman’s Talking è old time music con il violino, Let The River Run è il lento di chiusura, the famous final scene.
Un disco sincero, persino commovente dopo tutti questi anni, un disco da far suonare sulla strada, sia che guidiate una Cadillac, un truck a 8 assi o una semplice Volkswagen. Poteva essere più bello e sofisticato, Poteva produrlo Rick Rubin, ma io me lo aspettavo molto peggio. Gli hanno dato tutti tre stelle. Io quattro piene. E lo faccio suonare dalla mattina alla sera: I’m a rocker, baby, I’m a Rocker.
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