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Bocciato = Peccato. Lo dice il curato

Creato il 21 luglio 2012 da Albertocapece

Bocciato = Peccato. Lo dice il curatoClaudia Pepe per il Simplicissimus

C’era una volta Don Milani. Oggi c’è don Roberto Scattolin, parroco di Rustega in provincia di Padova. Nell’atrio della Chiesa ha affisso un manifesto-proclama:il volto di Cristo con sotto il monito perentorio “Bocciato=Peccato. Provvedi!” Avviso Sacro. “Caro bocciato, mi fai pena e rabbia. E’umiliante anche per te dover segnalare ad altri la tua bocciatura.  Spiace a tutti, perdere un anno per pigrizia, leggerezza, indisciplina. Vizi o limiti che si radicano nella vita, ben oltre il periodo scolastico. Ti invito a verificare perché ciò è accaduto .Hai violato i comandamenti.. Qualcuno si salva dal peccato. Pochi , però. Quando manca l’impegno costante, un bocciato è quasi sempre responsabile della sua situazione. Ha arrugginito la sua volontà e sciupato un anno della sua vita, ha umiliato i suoi genitori, il loro sudore per farlo studiare, ha sperperato i loro soldi per mandarlo a scuola , intaccato il prestigio dell’ “intera famiglia”. E’ doveroso farsi un esame di coscienza , darsi una mossa, pentirsi e confessarsi .L’etica cristiana e impegno scolastico vanno a braccetto e, come diceva Socrate ,c’è un solo bene : il Sapere ; c’è un solo male : l’Ignoranza”.

Questo il diktat di Don Roberto . Probabilmente non ha tenuto conto che una bocciatura è somma di tanti fattori convergenti nella vita di un ragazzo. Dall’alto di uno” scranno”, pensando di avere una verità imprescindibile, ci si dimentica di stare vicino a chi è meno avvantaggiato, a chi non aderisce ad un pensiero imperniato sulla competitività, sul primato dei vincenti. E’ terribile che si esprima riprovazione per “chi non ce la fa”. Si mette in moto un meccanismo di emarginazione e condanna. Una condanna dichiarata, che passa dal pulpito alla famiglia, alla società, per finire ad una vita che ti rifiuta. La scuola e le persone che sono vicine ai ragazzi, devono motivare, devono attivare il bagaglio delle esperienze personali, perché queste sono le più sentite e non appartengono agli altri, non sono le aspettative a cui ambiscono i genitori o  persone vicine. Sono la voglia di esserci, di dire la propria, di mettersi in gioco come persona, di dare qualcosa di personale per migliorare una qualità di vita o di processi sociali ancora non sufficientemente sereni e agevoli.

Quando si parla di talenti , anche dal punto di vista teologico, si intende proprio questo: dare. Dare di sé, per ricevere ed apprendere, avere uno scambio vicendevole di realtà umane che sono tese ad una crescita collettiva densa di profondi segni di appartenenza e portante di evoluzioni caratteriali. In questo percorso è importantissima la stima che ognuno ha di sé e che attribuisce un senso di efficacia o non , che ci fa percepire un controllo o subire le conseguenze, che ci fa partecipare o riportare.”Ama il prossimo tuo come te stesso.” Lo” scranno” qualche volta dimentica anche questo ma, soprattutto ,quella congiunzione:”come”. Il “come”, tante volte dimenticato, è l’apertura che ti dà la chiave per aprire ogni porta. Il “come” si fanno le cose,” come” posso arrivare, “come” posso” raggiungere , “come “sentire ed ascoltare le mie parole”. Cambia completamente il senso delle cose della vita : i fallimenti diventano rinascite , le sconfitte resurrezioni. Don Milani , il più grande riformista della Scuola Italiana, aveva adottato il motto “I Care” letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore, in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego “, simbolo di una cultura fatta di apparenze, di ignoranza , di “vincenti”.Don Milani, amava i gregari , perché la scuola è fatta dagli ultimi come dai più bravi, e non esisterebbero nessuno dei due se le loro vite non si incrociassero , per arrivare non per primi, ma insieme.

I ragazzi bocciati , non sono peccatori..Anche qui,  lo” scranno “, non ricorda un altro episodio della vita di Cristo :”Chi non ha mai sbagliato, scagli la prima pietra”E di pietre ultimamente se ne vedono tante, ma mai le mani di chi le scaglia. Forse quelle pietre arrivano nel cuore di qualche ragazzo , che soffocato dalla sua stessa vita, decide che non vale la pena vivere da “peccatore”. A differenza della vita, che qualche volta umilia,la famiglia la scuola e la Chiesa, hanno l’obbligo di accogliere. In ogni luogo, esiste il Bene e il Sapere, il Male e l’Ignoranza. Sono nati dallo stesso albero da cui noi siamo stati alimentati.  Sta a noi ascoltare, vedere, osservare, capire, comprendere. Non condannare. Socrate, voleva estirpare dai ragazzi l’ignoranza, ma non con la violenza, bensì con l’azione quotidiana del cogliere. Cogliere tutto il mondo più bello che i ragazzi portano nella loro cartella.


Filed under: Claudia Pepe Tagged: parroco, Rustega

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