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South Uist è, per dimensioni, la seconda isola dell'arcipelago delle Ebridi, in Scozia. Si estende da nord a sud per circa 35 km mentre da est a ovest raggiunge gli 11 km in corrispondenza del punto più largo. La popolazione residente, stando al censimento del 2001, è di circa 2000 unità. I primi insediamenti umani nelle Ebridi risalgono al periodo mesolitico (6500aC) e, proprio qui, vi sono quelle che sono considerate essere le più antiche tracce della presenza dall'uomo in Scozia. In particolare il sito di Cladh Hallan, un insediamento presso South Uist, è l'unico in tutto il Regno Unito dove sono state portate alla luce mummie risalenti all'età del bronzo.
È proprio negli scavi di Cladh Hallan che alcuni studiosi hanno scoperto due mummie dalle caratteristiche molto singolari. La scoperta dei corpi, per la verità, è avvenuta una decina di anni fa, ma nuovi particolari sono emersi di recente grazie a nuove tecniche di datazione. Le due mummie, oggi ormai nient’altro che scheletri, sarebbero state composte assemblando i resti di sei persone differenti!
Basandosi sulle condizioni e sulla struttura degli scheletri, i ricercatori hanno stabilito che i corpi, un uomo e una donna, furono sottoposti dopo la morte ad un processo di conservazione consistente nella sepoltura in un terreno paludoso (le cosiddette “torbe” o “torbiere”). Qui, a causa dell'acidità dell'ambiente e dell’assenza di ossigeno, i cadaveri non poterono decomporsi interamente. “Non fu il caso a conservare i corpi: fu davvero una precisa tecnica praticata diffusamente in Europa”, ci riferisce il ricercatore Michael Parker-Pearson, archeologo presso l’Università di Sheffield in Inghilterra.
Circa 600 anni dopo la loro morte i corpi, ormai mummificati, furono riesumati e nuovamente sepolti, questa volta nella terra, assieme ai resti di una giovinetta e di una bambina di 3 anni. Furono deposti in posizione fetale proprio nel luogo dove, ai giorni nostri, sono stati ritrovati. Chi si prese la briga, dopo secoli, di occuparsi di antenati ormai dimenticati? Cosa fu fatto a quei corpi? Perché sottoporli a un processo talmente complesso? E soprattutto quale misterioso rito pagano ha guidato la mente e il braccio di quegli antichi dottor Frankenstein?
Il professor Terry Brown, docente di archeologia biomedica presso l'Università di Manchester, afferma di aver avuto il sospetto che i corpi fossero di più di quelli che erano emersi: "Sullo scheletro femminile la mandibola non corrispondeva al resto del cranio. Ho raccolto, quindi, campioni di DNA dalla mandibola dello scheletro femminile, dal cranio, dal braccio e dalla gamba ed ho scoperto che le ossa appartengono a persone diverse, nessuna delle quali aveva in comune lo stesso patrimonio genetico. In particolare lo scheletro maschile era composto da persone morte a centinaia di anni di distanza. Un più accurato esame dei resti maschili ha evidenziato una forma di artrite nelle vertebre del collo, che però era completamente assente nelle vertebre della spina dorsale. La mascella inferiore, inoltre, conserva ancora tutti i denti mentre, al contrario, quella superiore non ne conserva nessuno. Nonostante ciò le condizioni dei denti della mascella inferiore dimostrano chiaramente la presenza, nella vita dell’individuo, anche dei denti superiori. Lo scheletro maschile, in conclusione, è composto da almeno tre persone. Persone morte, tra l’altro, a centinaia di anni di distanza l’una dall’altra.”
Una delle ipotesi, suggerisce Brown, è che le popolazioni di Cladh Hallan dell'Età del Bronzo avessero delle ragioni molto pratiche: "Forse semplicemente uno dei teschi era andato perduto ed è stato deciso di usarne un altro per dare completezza allo scheletro". Un'altra possibilità è che invece il "mosaico" fosse il frutto di una scelta deliberata, per creare un antenato simbolico che incarnasse, in senso letterale, caratteristiche di varie stirpi. Qualcosa di relativo a vecchi cerimoniali ormai dimenticati. Brown cita a tal proposito le mummie Chinchorro scoperte sulle Ande cilene, di cui gli imbalsamatori rinforzavano i corpi con bastoncini, erba, peli di animali, perfino pelle di foca. "È come se non fosse importante la persona, ma l'immagine che deve trasmettere. Quindi non è una singola identità, ma la rappresentazione di qualcos'altro".
Con queste parole si concludono tutti le fonti web che riportano la notizia, sia quelle in inglese, sia quelle in italiano e, presumo, quelle in qualsiasi altra lingua.Il vostro Obsidian Mirror non ha voluto però fermarsi qui e, per dare una minima giustificazione a questo post (che non vuole essere il post fotocopia di tanti altri), si è messo a cercare in giro delle analogie con i corpi ritrovati a South Uist.Sono incappato quindi nel cosiddetto "Uomo delle torbiere di Silkeborg" o "Uomo di Tollund", un corpo ben conservato, appartenente a un uomo di mezza età vissuto circa 2200 anni orsono, imbalsamato dal tannino e dagli acidi umici del terreno, ritrovato nel 1950 nello Jutland (in Danimarca) ed ora esposto smembrato nel museo locale. L'individuo, di sesso maschile e di età adulta, fu trovato adagiato sul fianco destro, con le gambe lievemente piegate e vestito esclusivamente con una cintura e un cappuccio di cuoio. Al collo è ancora visibile lo strumento con cui fu giustiziato: una corda da impiccagione o da strangolamento.Lo storico Tacito, nel narrare delle pene più comuni inflitte in giudizio tra i Germani, nel “De origine et situ Germanorum” così si esprime: “appiccano agli alberi i traditori e i disertori, i codardi, gli ignavi, i peccatori contro natura affogano nel fango delle paludi, gettandovi sopra graticci”. Nell'esecuzione dell'uomo di Tollund assistiamo appunto, almeno apparentemente, alla combinazione di queste due pene, che Tacito, da buon romano, vede connesse esclusivamente all'esecuzione giudiziaria e ritiene peraltro motivate da una sorta di logica interna. “La diversità del castigo” prosegue il passo succitato “si ispira a questo loro pensiero, che i delitti debbono punirsi alla luce del sole, le vergogne occultarsi.”
Quindi l’atto di seppellire i cadaveri nelle paludi era la punizione dei condannati a morte. Conservare il corpo più a lungo ha quindi un significato punitivo? Forse impedire ad un corpo di dissolversi impedisce all’anima del defunto di trovare la pace? Se così fosse si potrebbe spiegare allo stesso modo anche la fase successiva. Ad un certo punto, secoli dopo, ci si rende conto che la mummificazione non è eterna e, per proseguire nella volontà di non concedere il perdono ai condannati, si riesuma quello che rimane dei corpi e si “mescolano” le ossa, creando degli ibridi. In questo modo forse l’anima del condannato, perdendo la speranza di vedere riposare in pace le proprie spoglie mortali, continuerà a vagare senza pace.
Paradossalmente è questo lo stesso destino che inconsapevolmente Mary Shelley, tremila anni più tardi, riservò all’anonimo criminale che donò il cervello al suo mostro più famoso.
E per concludere, miei signori, questo è uno degli esemplari più perfetti di cervello umano che abbia mai visto negli anni trascorsi in questa università. Ecco invece il cervello anormale del criminale tipico. Osservate la riduzione del numero delle circonvoluzioni del lobo medio-frontale. Questi caratteri degenerativi corrispondono sorprendentemente alla vita che quest’uomo ha condotto, una vita fatta di brutalità, di violenza, di assassinii.
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