La Bolivia è una delle patrie nascoste e insospettabili degli scacchi. Non ha prodotto Grandi Maestri, nè organizza tornei internazionali. In compenso la gente gioca. A Coricoro, un paesino a tre ore da La Paz, sulla piazza principale, il sabato mattina, c'è un torneo. Ci sono i juniors che giocano seduti su delle panche e gli adulti che hanno diritto ad un tavolino di metallo e a delle sedie. Una signora con in mano un foglio e una penna annota nomi e risultati di grandi e piccini. Come ogni gruppo di scacchisti che si rispetti, anche qui c'è un'amalgama di zoppi, ciechi, sordi, asociali cronici e pazzi di ogni tipo. Noi scacchisti siamo il gruppo di "diversamente abili" più ammirato al mondo. Anche qui passanti e curiosi si fermano ad osservare con sguardi strabiliati il muoversi dei pezzi, cavalli che mangiano alfieri, regine che danno scacco, il mistero dell'arrocco, i tic incontrollati dei giocatori, nascondendo a mala pena un leggero senso d'inferiorità. Se capissero qualcosa di scacchi si renderebbero conto che più che arte si tratta di piccolo artigianato, più che intelligenza matematica c'è furbizia. Mi viene in mente il circolo scacchistico Giorgione, in cui mi sono fatto massacrare per anni dal signor Conz, talento incompreso degli scacchi che - lamentandosi della moglie e degli acciacchi dell'età - cercava di farti scacco matto con una ferocia inaudita e con tatticismi degni di Tal.Non posso trattenermi dal rimanere a guardare la gente giocare, finché non vengo invitato a sedermi anch'io. La signora con in mano il foglio mi recluta al volo perchè Raùl è scomparso ed hanno bisogno di un giocatore. Mi mette a giocare con un signore con una grossa stampella che cade immediatamente in un piccolo tranello d'apertura (1. e4 e5; 2. Cf3 Cf6; 3. Cxe5 Cxe4 (?); De2 Cf6 (??)) e mi regala la regina dopo quattro mosse. In nome di Raùl vinco la partita. I passanti guardano ammirati il gringo vincente, mentre l'instancabile signora recluta un altro giocatore per una partita amichevole. Si chiama Roberto, è calabrese e vive qui da abbastanza tempo da non riuscire più a distinguere l'italiano dallo spagnolo. Roberto parla poco e non gioca male, ma lascia in presa un cavallo. Quando vinco mi spiega che avrei potuto vincere prima prendendo un pedone en passant. E' un classico degli scacchi - e forse della vita - vedere le mosse degli altri e non le proprie.Fuori dalla piazza di Coricoro c'è calma. Le stradine di acciottolato si trasformano in piccoli campi da calcio in pendenza per bambini con buoni polmoni (in questi casi è sempre meglio giocare dall'alto verso il basso). Salendo verso la montagna le case si diradano. la strada diventa sentiero, gli edifici arbusti. Si attraversano dei campi rubati alla montagna in cui donne ricurve zappano la terra. Le piantine sono piccole ed hanno delle foglie piccole e molto verdi. Le piantine sono di coca e servono - almeno ufficialmente - a produrre foglie di coca da masticare, attività tradizionale di praticamente tutti i boliviani, in particolare i minatori, muratori e chiunque faccia fatica. Il motto è coca sì, cocaina no. I narcotrafficanti ringraziano.Kasparov
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La Bolivia è una delle patrie nascoste e insospettabili degli scacchi. Non ha prodotto Grandi Maestri, nè organizza tornei internazionali. In compenso la gente gioca. A Coricoro, un paesino a tre ore da La Paz, sulla piazza principale, il sabato mattina, c'è un torneo. Ci sono i juniors che giocano seduti su delle panche e gli adulti che hanno diritto ad un tavolino di metallo e a delle sedie. Una signora con in mano un foglio e una penna annota nomi e risultati di grandi e piccini. Come ogni gruppo di scacchisti che si rispetti, anche qui c'è un'amalgama di zoppi, ciechi, sordi, asociali cronici e pazzi di ogni tipo. Noi scacchisti siamo il gruppo di "diversamente abili" più ammirato al mondo. Anche qui passanti e curiosi si fermano ad osservare con sguardi strabiliati il muoversi dei pezzi, cavalli che mangiano alfieri, regine che danno scacco, il mistero dell'arrocco, i tic incontrollati dei giocatori, nascondendo a mala pena un leggero senso d'inferiorità. Se capissero qualcosa di scacchi si renderebbero conto che più che arte si tratta di piccolo artigianato, più che intelligenza matematica c'è furbizia. Mi viene in mente il circolo scacchistico Giorgione, in cui mi sono fatto massacrare per anni dal signor Conz, talento incompreso degli scacchi che - lamentandosi della moglie e degli acciacchi dell'età - cercava di farti scacco matto con una ferocia inaudita e con tatticismi degni di Tal.Non posso trattenermi dal rimanere a guardare la gente giocare, finché non vengo invitato a sedermi anch'io. La signora con in mano il foglio mi recluta al volo perchè Raùl è scomparso ed hanno bisogno di un giocatore. Mi mette a giocare con un signore con una grossa stampella che cade immediatamente in un piccolo tranello d'apertura (1. e4 e5; 2. Cf3 Cf6; 3. Cxe5 Cxe4 (?); De2 Cf6 (??)) e mi regala la regina dopo quattro mosse. In nome di Raùl vinco la partita. I passanti guardano ammirati il gringo vincente, mentre l'instancabile signora recluta un altro giocatore per una partita amichevole. Si chiama Roberto, è calabrese e vive qui da abbastanza tempo da non riuscire più a distinguere l'italiano dallo spagnolo. Roberto parla poco e non gioca male, ma lascia in presa un cavallo. Quando vinco mi spiega che avrei potuto vincere prima prendendo un pedone en passant. E' un classico degli scacchi - e forse della vita - vedere le mosse degli altri e non le proprie.Fuori dalla piazza di Coricoro c'è calma. Le stradine di acciottolato si trasformano in piccoli campi da calcio in pendenza per bambini con buoni polmoni (in questi casi è sempre meglio giocare dall'alto verso il basso). Salendo verso la montagna le case si diradano. la strada diventa sentiero, gli edifici arbusti. Si attraversano dei campi rubati alla montagna in cui donne ricurve zappano la terra. Le piantine sono piccole ed hanno delle foglie piccole e molto verdi. Le piantine sono di coca e servono - almeno ufficialmente - a produrre foglie di coca da masticare, attività tradizionale di praticamente tutti i boliviani, in particolare i minatori, muratori e chiunque faccia fatica. Il motto è coca sì, cocaina no. I narcotrafficanti ringraziano.Kasparov
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Il 27 novembre 2025 da Nicolasit
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