Fra le donne che parteciparono alle vicende del nostro Risorgimento, Bianca Milesi va ricordata soprattutto per il coraggio e lo spirito di libertà con cui si mise contro i pregiudizi della sua epoca. Un suo biografo, Annibale Campani, scrisse di lei: Bianca ci appare quasi fuori del tempo e dell’ambiente in cui le toccò vivere. E questo non è del tutto esatto, perché il tempo in cui Bianca visse, tra il 1789 e il 1849, fu veramente pieno di fermenti rivoluzionari. Sarebbe più giusto dire che, mentre questi fermenti restavano per lo più soffocati dai pregiudizi tradizionali e non si traducevano in un nuovo costume e modo di vita (specie per la donna), Bianca, uscendo dall’ipocrisia, scelse per sé una vita difficile ma coerente con il suo concetto di dignità femminile. Forse molto del coraggio che ella mise nell’affrontare problemi e occupazioni insolite per una donna, le venne dal disgusto per un’educazione bigotta. I ricordi della sua infanzia sacrificata in collegi dove suore sbrigative e ignoranti costringevano le fanciulle a lunghe preghiere, a digiuni, a correzioni crudeli, contribuirono a formare in lei il bisogno della sincerità e, insieme, il coraggio della ribellione. Finché fu poco più che una bimba, lo sdegno contro quella vita claustrale, dominata dalla menzogna, ricca di piccoli e grandi inganni, si esauriva nella ingenua preghiera che ella rivolgeva al Signore ogni sera: Dio mio, fa morire tutte le monache che picchiano mia sorella Luisa. La sorella Luisa, ragazza vivace e intollerante di ogni giogo, era la cattiva del collegio: doveva essere picchiata, sempre. Né le suore di Firenze né quelle di Milano riuscivano a fare di lei una ragazza timorata e raffinata al tempo stesso, secondo i canoni che presiedevano allora all’educazione delle fanciulle borghesi. Bianca assisteva con occhio critico a quest’opera di deformazione spirituale; vedeva le compagne più grandi tessere mille inganni e ricorrere a mille sotterfugi per corrispondere con innamorati segreti e comprendeva tutto l’assurdo di quella prudérie moralistica e il danno di quei metodi costrittivi. Il suo animo, bisognoso di tenerezza, di sincerità, di luce, pieno di entusiasmo per le cose belle, era dolorosamente compresso. Quando uscì dall’ambiente dei collegi cercò affannosamente, nella vita, un alimento adatto alla sua aspirazione; si mise a studiare con passione. La sua ribellione aveva bisogno anche di manifestazioni esteriori: si tagliò i capelli per non perdere tempo nelle lunghe tolette, si vestì con stravagante modestia. Nel 1810, quando aveva ventun’anni, Bianca accompagnò la madre a Roma che era allora governata dal generale francese Miollis; ma la giovane trovava intollerabile sottomettersi all’autorità straniera; mentre la madre frequentava i ricevimenti che si offrivano ovunque con grande sfarzo, lei faceva circolare il Misogallo dell’Alfieri che, come è noto, è un’opera scritta contro i francesi. La sua attenzione era diretta verso i bambini e verso il popolo, e l’occasione per trasformare questa sua simpatia, ancora vagamente umanitaria, in un’azione concreta, le fu data dal movimento rivoluzionario capeggiato in Milano da Federico Confalonieri. Quando tra il 1818 e il 1821 il gruppo di patrioti formato dai Federati e dai Carbonari si dedicò alla fondazione delle scuole per il popolo, tra le molte signore che offrirono volontariamente il loro contributo all’impresa, la più attiva e la più preparata fu Bianca. Sfogliando l’epistolario del Confalonieri troviamo che Bianca, nel 1820, era già alla direzione del movimento. Il 21 febbraio ella scrive al patriota: … la prego di indicarmi quali libri si possono acquistare in Milano che trattino di mutuo insegnamento. Debbo farne provvista per i confalonieri di Novara. Ella vede che questo nome mi equivale a zelante amor patrio. L’amor patrio riassumeva per Bianca le molteplici aspirazioni del suo animo: giustizia, educazione, libertà, lealtà di rapporti tra gli uomini. Per questo, sapendo che l’organizzazione delle scuole si accompagnava ad un’attività rivoluzionaria, ella volle star unita al gruppo dei patrioti anche quando cominciarono le persecuzioni della polizia austriaca. Fu messo in luce, durante quelle persecuzioni, che Bianca, insieme con la Dembowski, la Frecavalli e la Besana apparteneva alla setta femminile delle Giardiniere derivazione della Carboneria. Quando i rappresentanti più noti dei congiurati furono messi in prigione, dalle confessioni di qualcuno di essi, fu rivelato che Bianca era l’inventrice di uno speciale sistema di corrispondenza segreta tra i detenuti. La casa di Bianca fu perquisita più volte, inutilmente; tuttavia la giovane donna fu invitata a restarsene chiusa nelle sue stanze sotto la sorveglianza della polizia e fu sottoposta a stringenti interrogatori da parte del famigerato Salvotti. Eppure Bianca non si lasciò intimidire né confondere dall’astuzia degli inquisitori. Passata quella tempesta, credette necessario allontanarsi da Milano. L’interesse per l’infanzia la strinse di amicizia con la scrittrice inglese Edgeworth della quale aveva già tradotto le favole mentre lavorava per le scuole di Milano. Questa sua passione educativa si intrecciava sempre con i motivi più profondi del suo patriottismo. Anche a Genova, dove sposò il medico Mojon, e dove si occupò assiduamente degli asili infantili, fece parte di un circolo cospirativo carbonaro. La polizia austriaca l’aveva definita: rivoluzionaria caldeggiante in casa Confalonieri il pensiero di aiutare gli insorti e votata alla causa liberale… Quella piemontese, che non era meno rigida dell’austriaca, dette di lei questa definizione: Questa giovane energumena è divenuta un essere interessantissimo ed è molto accarezzata dai carbonari che qui si trovano. E più tardi a quella definizione fu aggiunto: bollente giardiniera, infetta di liberalismo. Più tardi Bianca si persuase ad espatriare: il rifiuto che ebbe dal governo di aprire un istituto di ginnastica educativa, con le sue parole: Il Governo non vuole novità la confermò nella impressione che la sua opera sarebbe stata sempre ostacolata dalla ferrea volontà di reazione dei governi italiani. L’insofferenza per quel regime tirannico trova espressione in una lettera che Bianca scrisse a un amico quando si fu trasferita a Parigi: Il rimanere [in Italia] ci diveniva ogni dì più insopportabile e l’impossibilità d’educar bene i nostri figli senza farne dei martiri futuri dei varii tiranni della sventurata nostra penisola è il motivo principale che ci indusse a spatriare… Ma neanche nella sua nuova residenza Bianca potè trovare un ambiente adatto alla realizzazione dei suoi ideali. Un grande fervore la scosse allo scoppio dell’insurrezione del 1848. Ma al ‘48 seguì per l’Italia la sconfitta di Novara e l’aggressione delle truppe francesi alla repubblica di Roma. Bianca prese allora il lutto: e in mezzoal lutto la morte la colse l’8 giugno del 1849. Le sue ultime parole, mentre il colera la spegneva rapidamente, furono: Dite a mio figlio che ami sempre il suo dovere. E per lei dovere significava lotta per la libertà. -Tratto da: Il Calendario del Popolo,1954, Dina Bertoni Jovine-
I N N O
Fratelli d’Italia
L’Italia s’ è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma,
Chè schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte,
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti e derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte,
Italia chiamò.
Uniamoci, uniamoci!
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natìo,
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte,
Italia chiamò.
Dall’Alpe alla Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il cuore e la mano;
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I vespri suonò.
Stringiamoci a coorte,
Sian pronti alla morte,
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute,
Il sangue d’Italia
Bevè, col Cosacco
Il sangue polacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte,
Italia chiamò.
-Goffredo Mameli-
(1827-1849)