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Bollino rosso

Creato il 30 luglio 2015 da Marcopress @gabbianone

La sintesi è un infinito: scopare. Nulla di troppo diverso, se non le parole con cui viene raccontato, da un post-calcetto di una-squadra-di-soli-maschi. Libro folgorante, “La separazione del maschio”, lo consiglio semplicisticamente agli uomini prima che alle donne. Ma la donna che lo leggerà, gradendolo come-fosse-granita-sotto-i-40-gradi, potrà non meno che venire a un post-calcetto e discuterne: sarà fatta uomo. Perché avrà capito che trattasi di romanzo non sul maschio, ma sulla donna contemporanea.
Non sto a raccontare la trama, wiki non tradisce. Tradisce invece, eccome, lo straordinario maschio raccontato da Piccolo, uno che ama ma scopa, scopa ma fa il papà, lavora e scopa, scopa e vive, scopa e scopa e scopa. Non direi tanti rapporti, meglio l’estensione di un rapporto. Certo, la racconta bene. Come nemmeno nei sogni densi di luppolo post-calcetto sommando i terzini alle ali.

La verità è che io ho sempre scopato con chi e quando volevo. O potevo. Scopavo con altre prima di sposarmi con Teresa, quando Teresa era incinta, dopo essermi sposato con Teresa, dopo che è nata Beatrice; ho continuato a scopare e scoperò adesso che Teresa se n’è andata.

Ho scopato migliaia di volte a casa quando Teresa e Beatrice non c’erano, e quattro o cinque volte, quando Beatrice era ancora abbastanza piccola da non scendere da sola dalla culla o dal lettino; ho scopato anche con Beatrice di là che dormiva, di pomeriggio o di notte se Teresa era fuori per lavoro. E’ successo tante volte che ho scopato con altre donne nello stesso giorno in cui ho scopato con Teresa; ho scopato con amiche di Teresa, con la babysitter, con qualche cliente, con le mie amiche. E una volta anche con la madre di Teresa.

Così posso ammettere in via definitiva, grazie all’ultima e più eclatante – ma non necessaria – prova, che il mio immaginario erotico è elementare, di primo grado – una specie di modello base: l’immaginario erotico del maschio meridionale, il punto più basso della scala evolutiva della contemporaneità, probabilmente.

E invece, probabilmente, no. L’io narrante sta in cima alla scala. E ci guarda assecondare la barista che ci spolvera il cappuccino di cacao. Chi mai glielo ha chiesto?



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