Nicola Manzan ha da poco realizzato il nuovo album di Bologna Violenta, un lavoro difficile che tocca una pagina importante e oscura della nostra storia, forse troppo recente per non toccare nervi scoperti e dare adito a qualche critica a caldo. Sarebbe, però, un errore soffermarsi solo su questi aspetti senza considerare l’approccio utilizzato e il valore della musica in esso contenuta, mai come oggi completa e a fuoco. Di questo e dei suoi nuovi progetti si parla in quest’interessante intervista, che al solito permette di osservare il lavoro del musicista da un’angolazione privilegiata.
Cominciamo con il tuo interesse per la storia della Uno Bianca: come è nato? Che cosa ti ha portato ad occuparti di questi eventi?
Nicola Manzan: È stato tutto abbastanza casuale, quando sono andato a vivere a Bologna (nel periodo post-studi), sono finito subito a casa di amici al Pilastro e per una serie di coincidenze mi è tornata alla mente questa pagina triste di Bologna ed ho pensato che avrei potuto raccontarla in musica. Tutto ciò prima che nascesse l’idea del progetto Bologna Violenta. Per me Bologna è sempre stata simbolo di libertà e nel mio immaginario era una sorta di isola felice. Andando a leggere le sue storie, però, emerge un’immagine ben diversa di quella che mi avevano raccontato gli amici che andavano al mercatino il sabato.
Non deve essere stato facile decidere di fare un concept sulla storia della Uno Bianca, immagino tu avessi chiaro sin da subito il rischio polemiche e fraintendimenti che quest’album avrebbe comportato…
Sì, infatti ho cercato di essere molto cauto nell’affrontare una storia così complessa. Anche perché a me la cosa che interessava principalmente era quella di raccontare la follia dell’essere umano, nient’altro che questo. Il non-rispetto per la vita porta alle più drammatiche conseguenze e di questo avevo già parlato nei miei dischi precedenti, ma in questo caso si parla purtroppo di storie reali e posso capire che questo possa infastidire qualcuno, anche se non era mia intenzione farlo.
Per questo credo tu abbia deciso di accompagnare il booklet con una guida all’ascolto e i titoli dei brani si limitino a riportare date e luoghi in maniera decisamente asettica e priva di aggettivi o annotazioni personali.
Esattamente. Non servono annotazioni o considerazioni personali, la storia parla da sola ed ognuno se la può vivere a suo modo. Però dovevo in qualche modo raccontarla, altrimenti la musica senza niente altro sarebbe sembrata fine a se stessa.
Nel disco hai usato anche dei campioni significativi, come li hai scelti e quali passaggi hai voluto sottolineare?
C’è solo una parte parlata, ed è un pezzo di servizio di un telegiornale dell’epoca, fatto dopo i funerali ai tre Carabinieri morti al Pilastro. La cosa che mi ha colpito è il senso di totale smarrimento che si percepiva in quei momenti, che unito alla drammaticità della cosa crea una situazione a dir poco surreale, quasi kafkiana. Ci sono anche un paio di altri campioni, ma sono più registrazioni ambientali che altro, quindi semplicemente funzionali a ricreare l’ambiente sonoro.
Possiamo dire che i fatti raccontati abbiano in qualche modo segnato uno spartiacque tra l’idea di una Bologna/Emilia Romagna felix e il brusco risveglio in una realtà ben più cruda?
Per me personalmente sì. Come dicevo precedentemente, da fuori avevo l’immagine di una città molto diversa da quella che poi ho scoperto. Il fatto che la prima storia che mi è capitata sotto gli occhi sia stata proprio quella della Uno Bianca penso sia una semplice coincidenza.
Come ti sei rapportato con la percezione che dei fatti possono avere gli altri? Hai raccolto opinioni, consigli, punti di vista o ti sei basato solo sulle tue sensazioni personali?
Mi è capitato di parlare casualmente con delle persone che avevano vissuto la vicenda più o meno da vicino, ma di base ho cercato di mettere in musica l’idea che mi ero fatto io del tutto, altrimenti penso che mi sarei completamente perso per ricercare cose che con tutta probabilità non mi sarebbero servite per la scrittura vera e propria del disco.
Da un punto di vista musicale, è aumentato l’apporto degli archi e di partiture classiche, quasi a creare brevi suite basate sulla forte contrapposizione tra grind e approccio “sinfonico”. Credi che ciò possa essere visto anche come una contrapposizione tra la ferocia dei crimini e la tranquillità della provincia?
A dire la verità non avevo mai pensato a questa contrapposizione… però da ora comincerò a rispondere in questo modo alle interviste! La cosa di per sé è molto più semplice e pratica. Volevo dare molta drammaticità ai pezzi, quindi ho cercato di tirare fuori tutto il mio background classico e di sfruttare le mie conoscenze in materia di armonia per creare l’atmosfera giusta per ogni fatto raccontato.
Se all’ascolto del disco la tua posizione è sottolineata da note e commenti, dal vivo come ti porrai per rendere questo approccio privo di compiacimento?
Molto semplicemente mi limiterò a suonare i pezzi standomene leggermente in disparte. Ho preparato dei visual molto scarni che raccontano per sommi capi le storie un po’ come nella guida all’ascolto, intervallati da immagini di repertorio. Nessun commento da parte mia, non ce n’è bisogno.
Hai già presentato il disco su palco, come ti muoverai per riprodurre in sede live la complessità del disco, seguirai fedelmente la scaletta o estrarrai brani, magari intervallandoli con pezzi presi dai dischi precedenti?
Attualmente il concerto è diviso in quattro parti, in cui vengono proposti i pezzi ordinati “per album”. Si parte da Uno Bianca, poi Il Nuovissimo Mondo, poi Utopie E Piccole Soddisfazioni, ma non mischio le cose, altrimenti si perde il senso dei dischi e delle storie che vengono raccontate. Rischia di diventare grottesco anche quando non lo è.
So che è uscito in questi giorni il disco del progetto Menace, ti va di svelarci qualche dettaglio?
Il disco dei Menace è uscito di recente in tutto il mondo grazie a Season Of Mist. È per me la realizzazione di un sogno, quello cioè di fare un album con persone che stimo fin da quand’ero giovane. E non è facile, visto che i miti tendono a sgretolarsi sempre, dopo averli incontrati di persona. In questo caso lavorare a stretto contatto (anche se a molti chilometri di distanza) con Mitch Harris dei Napalm Death mi ha insegnato molto dal punto di vista umano. Speriamo di riuscire a portare il disco dal vivo, cosa non così semplice, visto che siamo/saremmo in quattro e tutti provenienti da paesi (e anche continenti) diversi. Stiamo pensando di creare uno spettacolo che non sia solo musica, ma un’interazione concreta fra varie arti. Il disco ha ottenuto molti consensi, nonostante sia diverso da quanto fatto fino ad ora da tutti noi, quindi speriamo che ci sia un futuro anche dal punto di vista concertistico.
E con Dischi Bervisti che programmi ci sono in ballo per i prossimi mesi? L’ultima uscita è il nuovo degli Storm{O}, come vi siete incontrati? A proposito del nuovo Storm{O}, che è una coproduzione, come ti trovi ad interagire con altre label e cosa ti porta a scegliere con chi collaborare e su che dischi mettere mano?
Con Dischi Bervisti al momento non abbiamo nulla in programma, ci sono state molte uscite quasi in contemporanea tra Bologna Violenta, Storm{O} e Kaleidoscopic. Gli Storm{O} mi hanno chiesto una mano per produrre il loro disco, visto che avevo già coprodotto l’ultimo album dei Marnero e le cose erano filate lisce. Ho sentito quello che avevano fatto e mi ha convinto dal primo ascolto. Mi piace dare una mano a gruppi o etichette di amici che vogliono pubblicare dischi che mi piacciono. Di base le due caratteristiche principali sono proprio queste: il disco deve piacermi incondizionatamente e chi me lo propone deve essere una persona fidata. Non è sempre facile co-produrre i dischi, spesso ci sono dei meccanismi che si inceppano, ma spesso sono delle esperienze di crescita comune che fanno bene a tutti.
Grazie mille di tutto, a te le ultime parole famose….
Grazie mille a te e a The New Noise per lo spazio che mi concedete e per il supporto che mi dimostrate. Che il Bervismo sia con tutti voi.
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