Fare i conti con il proprio nome e la propria storia, perché in fondo la Uno Bianca rappresenta in pieno il binomio Bologna Violenta, meglio della strage alla stazione che è fatto nazionale, mentre le vicende legate alla banda Savi – pur se di ampia rilevanza – sono in primis storia della città e la fotografia della sua perdita d’innocenza. Non si consideri questa come mera retorica, perché chi scrive con Bologna ha avuto in quel periodo un rapporto stretto, così come lo ha avuto con gli altri luoghi citati nei titoli dei brani: Cesena, Rimini, Pesaro… Tutte località in cui ci si spostava per andare a concerti e serate, in cui vivevano amici e che si consideravano parte del proprio raggio d’azione. Per questo i fatti il sottoscritto se li ricorda bene, tanto che ai suoi occhi hanno assunto col senno di poi il valore di spartiacque. Di confine tra la Bologna felice e spensierata e appunto la Bologna Violenta o, meglio, violata. Così, capita che l’ascolto acquisti il valore di riflessione sul passato, di documentario su una storia che si conosce e di cui si ricordano i particolari, i servizi al telegiornale, le prime pagine dei giornali, ma anche il latente nervosismo delle forze dell’ordine quando ti controllavano i documenti al ritorno dalle serate in discoteca o ti fermavano ad un posto di blocco. Si perdoni, pertanto, la presunzione di poter giudicare Uno Bianca non solo come prodotto musicale, ma anche per la sua capacità di riportare a galla certe emozioni e certe sensazioni lontane nel tempo eppure ben impresse nella memoria, il che è fattore non secondario, visto l’altissimo rischio assunto dal musicista nel toccare un nervo scoperto del capoluogo emiliano. Proprio per questo appare encomiabile il largo utilizzo di archi e partiture orchestrali, così come i brevi ma significativi campioni, ad affiancare una scrittura sempre meno canzone e sempre più attenta al dipingere emozioni, capace di passare dalla furia del grind alle dilatazioni di taglio cinematografico nel volgere di poche battute. L’ascolto di Uno Bianca, opera non certo facile per il suo relazionarsi a un tema da trattare con doppi guanti e triple molle (ma questo Manzan dimostra di saperlo bene), è al contempo catartico e straziante, liberatorio e commovente, per lo meno se si accompagna alla consapevolezza dell’impatto che gli avvenimenti in questione hanno avuto sulla vita di una fascia di territorio che da Bologna si estende fino alle Marche, un’isola felice che da quel giorno ha imparato una lezione a sue spese. Per non dimenticare.
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