La domanda che ha attraversato tutta la discussione era questa: quando sarà possibile che, anche da noi, un immigrato, dunque qualcuno portatore di un’identità palesemente complessa e irriducibile agli schematismi ai quali siamo abituati, possa scalare la piramide sociale fino a diventarne addirittura il rappresentante? Oppure, volando molto più basso, quando sarà almeno possibile avere un sindaco “tedesco” di Bolzano e un presidente della Provincia “italiano”?
Tommasini e Achammer hanno confermato che ai “piani alti” delle nostre istituzioni la decostruzione del concetto monolitico d’identità è ormai un dato acquisito. Il secondo ha sottolineato che la sua presenza al teatro Cristallo – dove, prima di lui, nessun assessore alla cultura tedesca aveva mai messo piede – deve essere vista come il segno tangibile dello sgretolamento dei vecchi muri. E Tommasini, di rimando, non ha mancato di ricordare come gli sforzi per promuovere il plurilinguismo e una nuova coscienza intrisa di patriottismo statutario non tarderanno a dare i loro già promettenti frutti.
Non neghiamo ai nostri due politici la buona fede e rivolgiamo loro l’augurio di proseguire nel cammino intrapreso. Eppure, anche all’osservatore più fiducioso non può certo sfuggire come tra quei nobili intenti e la loro realizzazione la differenza sia tuttora abissale. Cambiare i dispositivi legislativi e, soprattutto, mettere davvero in discussione la comodità di riferirsi a una pratica di potere basata sulla sussistenza di mondi paralleli richiederebbe l’allestimento di un progetto ben oltre il vago richiamo a un ipotetico “terzo statuto di autonomia da scrivere con il contributo di tutti”. Per carità, nulla di tragico. Ma almeno non illudiamoci: Bolzano non fa ancora rima con Pirano.
Corriere dell’Alto Adige, 6 febbraio 2015