La cosa mi terrorizza, ma come ogni volta comincio a farlo, per illudermi che sarò anche questa volta in grado di affrontare questa paura, così familiare.
Credo che il mio modo di lavorare sia divenuto almeno per me" riconoscibile", quando ho ammesso a me stesso che gran parte di ciò che mi piaceva delle cose che facevo, partiva da dei segni o da interi disegni "sbagliati".
Se c'è una cosa che nessuno ti insegna in una qualsiasi delle scuole d'arte italiane, è che a volte è molto più utile studiare i propri errori che tenere conto dei propri successi. Tutta la parte delle tua vita in cui ti devi solo occupare di immagazzinare informazioni, e sperare che poi fermentino per bene per restituirti un idea di senso, un diagramma compiuto del modo in cui devi utilizzarle è forse la parte più interessante della tua esistenza di umano, intenzionato ad essere poi a consacrarti "creativo". E' in quella fase che hai la possibilità di sapere chi sei.
Normalmente ti si dice di seguire delle regole. Tutti sono in grado di uniformarsi a delle regole utili per ottenere uno scopo. Un tot persone possono essere istruite a comportarsi nello stesso modo, nel caso di un disegnatore, a disegnare nello stesso modo.
Ma quello che riesce a farsi distinguere dalla strada precostituita è l'errore, la caduta. Più rovinosa è la caduta, più sarà possibile allontanarsi dal sentiero già battuto.
L'errore, è quello che ti consente di essere inconfondibile, perché ognuno di noi, di solito sbaglia in modo diverso dagli altri.
Evitiamo di sfociare nella filosofia spicciola.
Sei in una delle aule della tua scuola d'arte italiana, durante i tuoi inizi. Ti dicono di copiare per l'ennesima volta, una delle riproduzioni in gesso dei "Prigioni" di Michelangelo. Di solito c'è chi passa tutto il proprio tempo in questo sacro edificio a tentare di capire perché il tratteggio incrociato ha un effetto diverso dallo sfumato a toni sovrapposti. C'è chi si chiede invece se Michelangelo, fosse veramente omosessuale. C'è chi auspica che il supporto cartaceo sia quello che farà la differenza. Che chi è già ubriaco alle nove e mezza di mattina perché al bar ha dovuto corrompere un professore a suon di bianco frizzante per farsi passare un dispensa indispensabile, ma introvabile. C'è chi si interroga sul fatto che il disegno in bianco e nero possa essere sufficiente anche senza il colore o viceversa.
Nessuno tra loro sbaglierà nel modo giusto. Perchè?
Perchè il contesto in cui si trovano ad operare, non ha la struttura simbolica utile per legittimare questo errore. Il sistema che sorregge un luogo dove ipoteticamente è necessario insegnare a diventare degli artisti o umilmente, a diventare "operatori" nell'ambito dell'arte, non si può autolegittimare per principio, e se lo facesse contraddirebbe se' stesso.
Probabilmente nel futuro cambierà, arriverà un qualcosa, un progetto nuovo, una visione nuova portata avanti da un singolo o da un gruppo di illuminati, una consapevolezza tale per cui tutto il sistema di nozioni intangibili, sfuggenti, anacronistiche e allo stesso tempo avveniristiche, su cui si sorregge il sistema, verrano riorganizzate, in modo da fornire a chi vi accede un profilo di utilizzo comprensibile.
Per il momento, non si offre "formazione". Tutto ciò che viene offerto, salvo casi rari, è più "un'esperienza", una sorta di passeggiata all'interno del sistema, con la sensazione costante, che di tutto ciò che ti viene mostrato, si faccia il possibile per nascondertene il senso.
Io non voglio recriminare, ma ho passato un anno intero a seguire un corso di Storia dell'arte contemporanea in cui il docente (un luminare a detta di molti) ha trascorso tutte le sue venticinque lezioni circa a dire che " ... se esiste qualcosa che si può dire dell'arte, è la sua impossibilità di essere detta".
Senza una foto, senza una dispensa, nulla.
Alcuni, si iscrissero appositamente a questo corso dalle altre sezioni, da scultura, da decorazione, avendo sentito dire che durante le lezioni degli anni precedenti, non era raro che il pubblico sfociasse in applausi commossi. Ma senza entrare nell'aneddotica, vi basti sapere che questo genere di situazioni costituiva la regola, più che l'eccezione.
Tutto dovuto a cosa? Ad un fraintendimento di fondo, secondo il quale, a tutti dovrebbe essere permesso l'accesso a questi contenuti, ma nel momento in cui ci sei, i contenuti stessi ti vengono presentati come impossibili da raggiungere attraverso quel genere di tipologia apprendimento. Non sto scherzando. Ti dicono veramente questo.
Ti infilano in un labirinto, dove essi stessi, lavorano incessantemente sollevando nuove, altissime pareti, scavando passaggi segreti, immaginando nuove coordinate ed architetture e ti dicono: "sicuramente non avrai modo di sapere dov'è l'uscita, perchè nemmeno noi sappiamo dov'è. Però se avrai talento, nessuno ti impedirà di cercarla. Forse per raggiungerla devi tirar su un bel tramezzo laggiù, oppure aiutare il tuo collega a demolire quella scala a chiocciola..."
E ai problemi, per così dire "contenutistici", si aggiungono quelli strutturali, dovuti al modo di gestire scuola e cultura da parte di chi sta al potere nel nostro Paese, che in nessun caso sono da sottovalutare.
Io non ho nulla contro le scuole di fumetto, anche e soprattutto perchè non ne so praticamente nulla.
Io faccio una riflessione sulle scuole d'arte, perchè c'ho passato dieci anni della mia vita, inside.
Il novanta per cento delle persone che ho frequentato in questi istituti (me compreso) quando uscivano con il diploma in mano fresco di stampa dalla segreteria dell'edificio, avevano tutti la stessa espressione spaesata, del tipo: "...e 'sti gran cazzi? Che faccio ora?".
Questo perché la maggioranza delle volte, si è lasciati soli, pretendendo che lo spirito dell'arte, si impossessi degli allievi allo stesso modo in cui può farlo un virus spontaneo, una volta collocati all'interno di queste strutture.
Un mio grande amico, forse l'unico che aveva capito come funzionavano le cose, appena dopo la discussione del diploma, salì sul ponte che sta davanti all'accademia e buttò la tesi, dritta nel canale.
Io penso che la vita sia breve, e che una delle cose più importanti per operare con intelligenza o buon senso durante il nostro percorso su questa terra, sia sapere che siamo.
In questi luoghi, dal mio punto di vista, è impossibile scoprirlo. E qui forse si ritorna al motivo per il quale ho cominciato a scrivere questo post, ovvero l'errore.
Lo dico subito: secondo me per insegnare un mestiere in questo ambito, è necessario partire dall'esempio degli jedi di Star Wars, ovvero che un insegnante, può avere solo un allievo alla volta: un Padawan (anche se ho sempre pensato al "Padovano", ovvero lo "spritz forte" quando sentivo questa parola). Per tornare ad un concetto reazionario, secondo me è possibile apprendere un qualcosa in questo ambito, solamente andando a "Bottega".
E' l'unico modo per crescere, per non avere sempre quella sgradevole sensazione di: " qui da noi, puoi imparare tutto, ma occhio che puoi anche non imparare nulla, fai tu...."
Io ho imparato qualcosa laddove ho avuto la possibilità di avere un contatto diretto ed esclusivo con il docente. (Evitiamo le battute o i racconti, su chi di contatti coi docenti ne ha avuti, ma di genere fornicatorio, cosa non del tutto rara nemmeno questa. Non ci interessa, io volevo parlare di un altra cosa).
Dicevo, il contatto con il docente è necessario perchè è in quel contesto che si è legittimati a sbagliare nel modo giusto. Quando si vuole imparare l'arte, se proprio lo si vuole fare, è necessaria una certa dose di empatia con chi ti insegna. Un qualcosa che si crea quando, la riuscita di quello che fai dipende anche dalla riuscita del rapporto. O dal totale disfacimento del rapporto, ma di rapporto vero si deve trattare.
Un rapporto di tipo esclusivo non è da intendersi come una classe, uno studio vuoto, dove ci sai solo l'insegnante con il suo allievo. Non dev'essere inteso come un qualcosa di "antidemocratico".
E' una cosa che può avvenire normalmente anche in una classe dove vi siano altre persone. Quello che conta è il link, che permette al lavoro di entrambi di avere legittimità piena.
Io ho avuto dei grossi scontri coi docenti con cui, ancora senza saperlo, avevo questo tipo di rapporto esclusivo. Non ho mai amato più di tanto le nozioni per così dire "dogmatiche" del disegno (in reltà nessuno le ama). Tutta quella parte in cui devi solo ripercorrere il lavoro di altri e ripeterlo.
Sono stato fortunato, e ho conosciuto qualcuno a cui questo mio svogliato "disinteresse", interessava.
Qualcuno di cui ammiravo il lavoro, ovviamente (altra condizione fondamentale)
Quel qualcuno, mi ha portato a farmi disgustare talmente tanto queste nozioni, che senza rendermene conto, mi portò a desiderare di sbagliare apposta, pur di farla finita con quella agonia.
Questa è una cosa fondante per me, e l'ho capita solo in questo modo. Ma ci sono arrivato solo con un enorme quantità di lavoro (che rifiutavo e mi disgustava, ma che mi costringevo a fare) e con il sostegno latente di qualcuno che mi aveva preso a cuore.
Nel momento per così dire finale del nostro percorso insieme, questa persona mi disse che quello che facevo non valeva nulla, che ero solo uno dei tanti che aveva visto negli anni di lavoro da cui aveva provato di estrarre qualcosa di buono; mi disse anche che lo avevo deluso, ma se ne sarebbe fatto una ragione.
Andai a casa e sul treno mi dissi che probabilmente io ero questo: uno dei tanti imbrattatori di fogli che si credeva chissà chi. Che non era la prima volta che una cosa del genere mi veniva detta. Che probabilmente non cambiava nulla. Che l'idea che mi ero fatto di come si dovesse essere per diventare un professionista, o comunque uno che consacrava la sua vita a quel genere di cose, non corrispondeva alla realtà: che mi ero fatto un film.
Al di là di tutto , ero affranto all'idea di aver deluso una persona che si era fidata di me. Soprattutto perchè era una cosa rara, e io l'avevo sprecata. Questo era il fallimento più grande.
Quando scesi dal treno, mi accorsi che mentre ero preso da queste considerazioni escatologiche, avevo quasi riempito un quaderno intero, di disegni. Non andai più a lezione nelle settimane successive e quel quaderno stava sempre nella borsa, senza che avessi la voglia di aprirlo, perché sapevo che vedere quegli schizzi mi avrebbe fatto pensare immediatamente alla tragedia umana in cui mi ero trasformato.
Però lo feci, li riguardai. Erano sbagliati. C'era un atteggiamento pretenzioso, velleitario in quei disegni.
Pretendevo di strutturare delle figure umane, mescolando a caso delle linee di costruzione, e utilizzando gli errori di costruzione per simulare una struttura. Queste figure si muovevano senza scopo, ammassate l'una nell'altra in ambiente neutrali, in spazi costruiti anche in quel caso con delle tecniche che ricordavo di aver visto da qualche parte, ma di cui non conoscevo il senso. Anche in questo caso, imitazioni di destrutturazioni spaziali viste chissà dove.
Era tutto sbagliato. Ne feci altri per trovare il modo di vergognarmene di meno. Alla fine ne feci credo un centinaio, di cui non ero mai soddisfatto. Ma dopo quei cento disegni, mi resi conto che non provavo più fatica o frustrazione nel momento in cui dovessi disegnare qualcosa. Quelle sensazioni erano scomparse. Riuscivo a disegnare senza provare il senso di fatica che avevo sempre provato, almeno da quando ero obbligato a farlo, per studio.
Mostrai questa roba al docente, che senza dire nulla, a parte "mi chiedevo dove fossi finito", prese quel malloppo e lo mise paro-paro nella cartella della mostra scolastica di fine anno. Lo stesso malloppo che poi sarebbe rimasto, assieme ad altri degli anni precedenti, negli archivi del corso , come esempio per gli allievi degli anni successivi. E' andata così, positiva o negativa che fosse questa cosa.
Non ho più smesso di disegnare in questo modo da quella volta, o almeno di "strutturare" il mio modo di disegnare così all'inizio, per poi arrivare a quello che consegno all'editore.
Paradossalmente, se si volesse essere pedanti, si potrebbe dire che ho strutturato anch'io una "regola", per quanto possa essere convinto di partire dalla negazione delle regole.
Che questa regola, è stata trovata per caso, in un oceano di altre possibilità operative che avrei potuto scegliere. Che non avevo un rapporto esclusivo con quel docente, o con gli altri con cui ho avuto esperienze simili, ma che semplicemente quella persona era uno che faceva bene il suo lavoro e mi ha illuso di avermi preso sotto la sua ala, per ottenere il suo risultato.
Quello di cui sono certo è che il suo era il modo giusto per portare un cinno senza arte ne parte a prendere consapevolezza dei suoi strumenti. Senza giri di parole sull'indicibilità dell'arte, o sull'impossibilità di conoscere quello che si fa, di conoscere se' stessi.
Quelle sono solo cazzate. In ogni caso, ripercorrere tutto questo mi aiuta a cominciare, ad avere meno paura, lo faccio ogni volta.
Parto dall'assunto, che se sbaglio, probabilmente sto facendo bene.