La parola “fuck” (e suoi derivati) è pronunciata 165 volte, in Boogie Nights. Eh già, il mondo del porno losangelino sul finire degli anni ’70, era da poco stato proiettato Star Wars, e l’inizio degli ottanta. C’è chi pensa al 1984, non ci sono riferimenti certi, perché a Paul Thomas Anderson non piacciono, quindi c’è da spulciare le linee di dialogo e pizzicare gli indizi sussurrati da Rollergirl o da Jack Horner, persino da Dirk Diggler, col volto di Mark Wahlberg. Anderson, classe 1970, questo film l’ha scritto e diretto tra i ventisei e i ventisette anni. Ammirazione incondizionata, perché se a ventisette anni hai un controllo del genere sulla narrazione, e in più sei come appari, ovvero una specie di dono del cielo della regia, che ti serve ancora? Sì, perché Anderson si presenta con un’unica, lunghissima sequenza di tre minuti e mezzo, nella quale si prende la briga, riuscendoci, di mostrarci tutto il film, ambientazione, la scena è infatti situata fuori e dentro un night club a San Fernando Valley (L.A.), detta anche Pornoland, là dove è sorta e risiede la più grande industria pornografica mondiale; personaggi, vediamo quasi tutti i protagonisti in una manciata di secondi, fluidi e magnifici; e clima in cui si svolgerà la storia. Storia ispirata a John Holmes, sul set e fuori, persino un angolino, dedicato alla parentesi della sua vita criminale. Uno nomina Boogie Nights e non capisce che film sia. Sconosciuto, titolo astruso, lettere rosa gonfie e rotonde, su luce al neon. Poi indaga e scopre che è “il solito film sul porno”, e i riassunti in rete non aiutano a togliersi quest’idea dalla testa. La storia di un ragazzo e dei suoi 33 cm di dimensione artistica. Certo, quel che resta ignorato è il capolavoro registico e interpretativo che è questo film. Ma ci sono io, voi e c’è Book and Negative. Le cose, tutto sommato, vanno bene.
***
Musica… Gli attori, un cast coi controcazzi. Sinceramente non ho idea di come abbia fatto un regista così giovane a mettere insieme, coordinare e far funzionare così tanti attori. E che nomi: Burt Reynolds, Julianne Moore, Mark Wahlberg, John C. Reilly, Don Cheadle, Heather Graham, William H. Macy, Philip Baker Hall, Philip Seymour Hoffman. Ecco, volete dirmi che chiunque può andare da questi tizi, proporre ruoli del genere e non essere preso per pazzo? E poi c’è il mondo del porno che, si sa, evoca quell’atmosfera sporca, pastosa, non proprio giusta. Però ci sono i colori, della Corvette rossa di Diggler, delle luci al neon, dei set di film a luci rosse girati neppure con pretese artistiche, ma dell’arte e del cinema elevato covandone i sogni e le aspirazioni. Jack Horner (Burt Reynolds), un guru dietro la macchina da presa che vagheggia di ritrarre la vita su pellicola, con personaggi a tutto tondo, che scopino anche, perché no, ma che regalino in quei sordidi localini attrezzati a sale cinematografiche, dove si andava con l’ombrello, una storia appassionante che incolli gli spettatori alla poltrona. Incolli… ogni cosa sprofonda subito i termini nel doppio senso. E il punto è che quel geniaccio di Anderson lo sa bene. E questa cosa la cavalca… Giuro, non è colpa mia.
***
Si parla di Dirk Diggler e delle sue “doti”. La natura l’ha fatto così e lui vuole soltanto “condividere il suo dono col mondo intero”, perché Jack Horner ha intuito il potenziale del ragazzo, e perché Dirk è dannatamente bravo in quello che fa, e fa una cosa soltanto. E allora Anderson, quando si concede tagli, tra un’inquadratura e l’altra, tra una scena e l’altra, fa dei montaggi che non si notano subito, accostamenti che strappano risate, sapienti e giusti. Diggler al locale, che dà dimostrazione del suo talento, stacco, e salsicce in padella per colazione, inquadrate dall’alto. E ancora, Diggler e Amber Waves (Julianne Moore) hanno appena finito di girare la prima scena di un film, ma manca l’orgasmo ciak (non mi metto certo a spiegarvi cosa sia), Jack Horner chiede e Dirk dice che sì, si può fare, stacco, e si riprende con una bottiglia di spumante stappata, con tanto di schiuma. Genio e follia in un solo secondo. E di momenti del genere, Anderson ne dispensa a carrettate.
Perché, vedete, già l’idea di “girare un film vagamente ispirato alla vita di John Holmes” suscita risatine. Noi siamo qui, a parlarne, e di sicuro a questo punto dell’articolo avrete già ridacchiato tre o quattro volte, la vera arte è concedersi un lunghissimo sguardo su questo mondo sporco e renderlo dannatamente interessante, in più abbandonandosi a virtuosismi tecnici.
***
Le sequenze fiume. Dopo quella iniziale, Anderson si diverte a seguire gli attori fuori e dentro gli appartamenti che fungono da set, li segue persino sul bordo della piscina, che stanno per tuffarsi, e anche dentro l’acqua, persino sotto. E questo sguardo continuo si concede stacchi soltanto per esigenze di narrazione, il tempo deve pur scorrere, o per non tanto svelare, ma soffermarsi sui trucchi del mestiere, inquadrature sulla cinepresa, e ancora un volta, a dimostrare le capacità amatorie del prodigio Dirk, è sufficiente evocare un nastro esaurito, che gira a vuoto e necessita di essere sostituito, piuttosto che indugiare, dove pure aveva fatto, prima di effettuare tagli che avrebbero soddisfatto la censura, sulle parti sconce.
Il risultato è che Boogie Nights appassiona, appare profondo anche in presenza dell’argomento frivolo. Il mondo del porno si dimentica in fretta e si assorbono conflitti esteriori e dipendenze e drammi di tutti, ripeto tutti i personaggi. Amber e Rollergirl (straordinaria Heather Graham) sopra tutti gli altri che fuori dal set e da quelle specie di alcove che sono le case in cui vivono, sono alle prese con un divorzio complesso e con la frustrazione di una vita che si avverte sfiorire passo dopo passo, con incoscienza, sotto lo sguardo sprezzante della gente “perbene”.
***
Philip Seymour Hoffman, pur col suo ruolo marginale dà una prova eccellente, il suo personaggio riesce confuso, frustrato e perfetto. Ottimo anche Burt Reynolds, sembra davvero un regista convinto di essere tale, pur trafficando con pellicole prodotte “per fini di intrattenimento ludico”. Definizioni calzanti che applicate alla vita di tutti i giorni hanno persino più senso di quanto appaia…
William H. Macy, in questo film Little Bill, altro richiamo a un vero porno-attore, nevrotico e perseguitato dalle infedeltà della moglie, regala una sequenza corale come poche. Immaginatevi sul set insieme a, che so, una quarantina tra attori e comparse che stanno inscenando una festa per l’ultimo dell’anno. La telecamera lo segue, nel suo indugiare per cercare la moglie, lo segue ancora quando si reca all’esterno per prendere la pistola dal cruscotto dell’auto e gli va ancora dietro quando rientra in casa, fino a quando di lui non resta che qualche schizzo rosso sulla parete. La dove, più in là col film, ci sarà un quadro che lo ritrae.
Poi la sparatoria che vede protagonista passivo Don Cheadle, che io ho commemorato in questa classifica, e l’altra a casa del ricco psicopatico che vuole comprare droga (in realtà bicarbonato) da Dirk e dai suoi compari, dove c’è tutto, regia, musica, tormento nelle minerve fatte esplodere in cotinuazione da uno degli attori, delirio e completezza.
È la storia di John Holmes, questo è un modo di vederlo, certo. Ma Boogie Nights è anche un cazzo di capolavoro.
Altre recensioni QUI