Boogie Nights – l’altra Hollywood (Boogie Nights)
Genere: Drammatico/Commedia
Regia: Paul Thomas Anderson
Cast: Mark Wahlberg, Burt Reynolds, Julianne Moore, John C. Reilly, Heather Graham, Don Cheadle, Philip Seymour Hoffman, Luis Guzmán, William H. Macy, Philip Baker Hall, Alfred Molina
156 min
1997
Anderson non realizza un semplice prologo, ma ci sbatte violentemente all’interno del suo mondo, all’interno di quell’epoca. Il pianosequenza da tecnica cinematografica diventa modo di pensare e concepire un ambiente.
E’ lo sguardo sulla vita da parte del regista. Partiamo dall’esterno del locale e finiamo all’interno delle cucine, conoscendo tutti i personaggi, il tutto alla ricerca dell’ostacolo da superare. Collegando tra loro dialoghi e movimenti coreografici di attori e comparse, il mondo diventa un teatro circolare donando da subito un senso al film e ai personaggi che finiranno in un vortice apparentemente inarrestabile (il vangelo del regista) di sesso, droga, crimine e quant’altro si può trovare nel retrobottega dell’industria hollywoodiana. Dopo aver strizzato l’occhio al suo più grande mentore (Martin Scorsese e il piano sequenza nel locale di Quei Bravi Ragazzi), Anderson agisce di spirito preservando le tematiche che da sempre fanno da cardine al cinema USA: la famiglia e il sogno americano. Eddie Adams ha un dono, ma questo sua madre non lo sa e nel frattempo lo sbatte fuori di casa. Eddie bussa alla porta di Jack Horner, suadente diavolo tentatore, e accetta il lavoro da porno attore.La storia di Eddie Adams è un omaggio ad un genere praticamente mai considerato da critica e pubblico, per la sua difficoltà di gestione con l’audience – in fondo, su un porno di un’ora e mezza, quanti sfiorano anche
solo il pensiero di arrivare alla fine? – Jack Horner vuole proprio questo, creare un film vero, con una trama e dei personaggi che si è soliti vedere in film d’azione. Nasce così Dirk Diggler, ispirato al personaggio di John Holmes, una delle più note star del porno. Robert Altman è un modello non facile da seguire, eppure Anderson ci riesce, anzi, fa addirittura meglio, generando il suo cinema corale e con Boogie Nights inizia a costruire quello che è ad oggi il suo più grande capolavoro, Magnolia. Senza major opprimenti, Anderson può fare i film che vuole nel modo in cui vuole raccogliendo le redini proprio di Altman o del primo Scorsese.Il suo cinema ci parla di tematiche ricorrenti, di personaggi leggendari eppure estremamente veri, alcuni misericordiosamente semplici. Ecco allora che la troupe di Jack Horner si trasforma in una famiglia allargata per Dirk Diggler. Amber Waves (Julianne Moore) diventa sua madre, quella che lo asseconda, che lo aiuta a crescere professionalmente e lei dalla sua parte trova un figlio, al contrario del suo, costretto invece dopo il divorzio a starle lontana, perché lei è un’attrice porno e nel mondo vero è tutto moralmente sbagliato. Jack manco a dirlo è il padre, un padre presente che ha voce in capitolo nella sua vita. Poi ci sono i fratelli Reed Rothchild (John C. Reilly) e Scotty J. (Philip Seymour Hoffman). Mentre Rollergirl (Heather Graham) è la fidanzatina che lo ha svezzato e inserito insieme a Jack nella grande famiglia del porno.
Anderson descrive un’America in cerca di identità, quella dei suoi abitanti malinconici, ancora legati al mito del cowboy (vedi il personaggio di Don Cheadle), che vagava cieca all’interno di una costante solitudine; piena di ferite e cicatrici di un passato difficile da metabolizzare. In cerca di una guida, la figura da santificare, quella che possa darle anche solo l’illusione di trovare una strada.
Affresco di un’epoca che fu, all’interno di una nazione che sognava la libertà e il successo, Boogie Nights chiude con gli anni ’70 con un suicidio, quello di Little Bill (William H. Macy), eterno martire del suo matrimonio con una donna fin troppo libertina. E’ l’allegoria della notte di capodanno, coi fioretti e il ricordo di un anno o di un decennio ormai andato. In questo caso la morte di quegli anni e quindi del personaggio, fanno anche da riferimento ad uno dei decenni più orribili che stavano per iniziare, gli anni ’80. Cinema “bigger than life” che si rimodula nella moltiplicazione dei punti di vista e nel mosaico delle facce, come se Anderson stesse cercando di ridisegnare una nazione intera e forse ci riesce.I soldi non durano per sempre, nemmeno il successo che si trasforma in eccesso, quello delle droghe e della controcultura come ricordo, una radicale discesa negli inferi dei personaggi, a partire da Dirk. C’è il videotape, che prende il posto della pellicola, con cui si gireranno film più velocemente, e con pochi soldi, e Jack Horner che deve rinunciare a storie e ad attori decenti con un risultato meno artistico e professionale. Il variopinto, grottesco e accogliente universo si sgretola, gettando i personaggi nella solitudine, nella disperazione, nel dissolvimento. Si passa per una scena memorabile di una tensione palpabile, nella villa di uno strambo personaggio interpretato da Alfred Molina: con la musica pop degli 80′es da sottofondo intervallata dallo scoppio rumoroso di petardi nel caos della tensione e con un Mark Wahlberg che, forse inconsapevolmente, dà il meglio di sè.
Come Anderson, che spulcia le enciclopedie del cinema impregnando, come sempre, la sua opera di tecniche sopraffine. Dal montaggio – come nella scena del pestaggio a Dirk -, alla regia, colma di piano sequenza elaborati con riprese che si tuffano in piscine e ambienti affollati. E poi gli attori: Wahlberg si ripete nella scena della redenzione e l’abbraccio affettuoso al suo “padre adottivo” – il rapporto padre figlio si ripeterà per tutta la filmografia del regista-. Julianne Moore, mai sopra le righe. Philip Seymour Hoffman romantico e affettuoso nerd omosessuale. Menzione speciale anche per Luis Guzmàn, tra gli attori feticcio di Anderson.Prima della chiosa finale c’è un’altra sequenza da ricordare, ancora un’anteprima di Magnolia, suo prossimo lavoro e come già detto, il punto più alto della carriera del regista californiano. E’ la scena che vede protagonista Buck, il personaggio di Don Cheadle, testimone di una rapina in un negozio di ciambelle, che si risolve con la morte del rapinatore, del commesso e di un secondo testimone nel modo più assurdo e complicato possibile. E’ l’anteprima del “But it did happen” di Magnolia. “E’ successo”, eppure non so spiegarmi come. Per il regista è un lavoro di stile in più, che fa da ponte per un personaggio, in questo caso Buck che ne approfitta prendendosi i soldi della cassa e realizzare il suo progetto.
Anderson dimostra maturità e consapevolezza di non lasciare nulla al caso, dalla narrazione ai personaggi. La famiglia sui generis, ha tutte le qualità di un vero cerchio, in cui esistiamo anche noi, tra litigi e incomprensioni. Nulla manca e tutto viene dosato nella maniera più vera e realistica possibile rendendo il film una pellicola vera e non edulcorata.